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La progettazione inclusiva in Lombardini22
28/6/2022
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Per 15 anni Cristian Catania, con L22 Retail, ha sviluppato concetti e idee di spazio nella sfera commerciale, residenziale e altro ancora. Oggi è coinvolto in un tema più ampio, poiché per definizione riguarda tutti, sia utenti che ambiti della progettazione. È il design inclusivo, per tutti, “for all”!, di cui Cristian guida lo sviluppo all’interno di Atmos, la business unit di Lombardini22 che si occupa dei domini del comfort attraverso le qualità fisiche dello spazio: una mission che è anch’essa per natura trasversale, e che in questa nuova prospettiva aggiunge al suo core – il benessere ambientale – tutta la ricchezza di sfumature delle diversità e singolarità sociali. Una nuova, e bella, sfida di Lombardini22 di cui abbiamo parlato con Cristian rivolgendogli quattro/cinque domande.

Che cosa significa Design for All?

Una definizione efficace di EIDD Design for All Europe è “design per la diversità umana”. È un termine ampio che va oltre l’idea di una progettazione orientata ai bisogni delle disabilità, che in realtà è solo una delle sfide, peraltro molto complessa e sfaccettata.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità non esistono persone disabili in sé, ma ambienti disabilitanti, e questi riguardano ognuno di noi.

Inoltre, se pensiamo alle tre macro aree che distinguono le disabilità – permanente, temporanea e situazionale (quella che patisce, per esempio, chi accompagna un figlio piccolo con il passeggino) – è chiaro che siamo tutti potenzialmente coinvolti a diversi livelli. Allora la domanda è: quanto l’ambiente che viviamo ogni giorno ci permette di interagire in modo non discriminante? Si tratta quindi di design relazionale in senso lato, il che richiede una visione ampia: qui dobbiamo inserirci con il nostro ruolo di progettisti e la nostra responsabilità.

Come progettista di Lombardini22, abbracciare esplicitamente il “knowledge brand” – passami il termine – dell’inclusività che cosa comporta?

Intanto una sostanziale innovazione di processo. Per competenze interne, e anche per sensibilità professionali, abbiamo sempre agito in modo attento alle diversità, senza saperlo: oggi mettiamo a sistema queste pratiche e le integriamo in tutti i nostri servizi di consulenza e progettazione. È un layer trasversale.
Cosa comporta? In primo luogo una consapevolezza, un’attenzione particolare al tema. Ciò implica un’analisi sistematica di ciò che già facciamo e, di qui, una ricerca costante di nuovi tasselli e azioni propositive da aggiungere per migliorare: cioè per offrire soluzioni che vadano oltre le prescrizioni normative e abbraccino non solo i bisogni strumentali degli utenti ma le loro ambizioni e aspirazioni.

Per esempio?

Pensiamo al tema dell’autonomia: le rampe per disabili di norma devono avere una pendenza massima dell’8%, ma questa non è superabile senza un accompagnatore (che non tutti possono, o vogliono, permettersi); oppure il servoscala, che richiede lo sblocco e l’assistenza di un operatore. O il bagno disabili, concepito in ambito ospedaliero ed esteso in modo indifferenziato ovunque ma di fatto disfunzionale per molti utenti (oltre che discriminante, e non bello). Si potrebbero fare molti esempi ma in generale il tema è andare oltre la norma e affinare le soluzioni: banalmente, perché non prevedere parcheggi anche per le disabilità temporanee o per gli anziani?

La normativa risponde all’uomo standard, e in questo modo non risponde a nessuno.

La progettazione inclusiva prova a rispondere a tutti. Poi si è anche evoluta nel tempo e oggi considera, oltre alle barriere architettoniche classiche, fisiche, le barriere cognitive. Un campo in cui il wayfinding ma anche acustica e lighting design aiutano molto…

Che sono alcune tra le specialità di Atmos, la business unit in cui operi attualmente dopo molti anni nel Retail…

La mission di Atmos, per sua natura trasversale, è molto coerente con questo approccio. Atmos progetta per il benessere delle persone attraverso aria, luce, suono, olfatto ecc., cioè i domini del comfort, i quali generano anche inclusione sociale. Alcune disabilità, ma in generale noi tutti, abbiamo rilevanti benefici da una buona acustica. Altrettanti se ne ottengono modulando il carattere, anche scenografico, della luce. La qualità dell’aria, comunque fondamentale per la salute, se legata all’olfatto può dare identità a un luogo, renderlo riconoscibile anche a chi è mancante su altri sensi e agire così sulla memoria. Oggi alla qualità ambientale aggiungiamo la qualità sociale – la S di ESG – con un approccio human-centered che, attraverso la qualità percepita dell’ambiente, genera benessere per tutti.

Come cambia il modo di progettare, in termini di processo ma anche di linguaggio?

Un’importante innovazione di processo dovrebbe essere il coinvolgimento degli stakeholder finali, esperti sulle diverse disabilità, in una progettazione partecipata. E questa può influire anche sul linguaggio. Ma solo in termini di vincoli di cui tenere conto. Quindi ci sono più vincoli, che per un progettista sono fondamentali (lo diceva anche Franco Albini, “senza vincoli non so progettare”).

Se i desideri del cliente sono il primo vincolo, il design inclusivo ne aggiunge in più aprendo il target di riferimento.

Quindi è anche un’occasione di business importante e socialmente corretto e offre alle aziende una grossa opportunità di social branding – si calcola che il settore Hospitality potrebbe aumentare del 20% la propria attrattività – perché allarga il campo dell’utenza. A tutti? Probabilmente no. Dire design “for all” è un’utopia, un orizzonte cui tendere, sapendo che non lo raggiungeremo mai, forse… Tuttavia dobbiamo farlo ed essere trasparenti nel dire, di volta in volta, in cosa siamo inclusivi: e soprattutto lavorare in cosa non siamo ancora riusciti ad esserlo.

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

Scopri l'Universal Design nell'ospitalità

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Progettare per ognuno

Per 15 anni Cristian Catania, con L22 Retail, ha sviluppato concetti e idee di spazio nella sfera commerciale, residenziale e altro ancora. Oggi è coinvolto in un tema più ampio, poiché per definizione riguarda tutti, sia utenti che ambiti della progettazione. È il design inclusivo, per tutti, “for all”!, di cui Cristian guida lo sviluppo all’interno di Atmos, la business unit di Lombardini22 che si occupa dei domini del comfort attraverso le qualità fisiche dello spazio: una mission che è anch’essa per natura trasversale, e che in questa nuova prospettiva aggiunge al suo core – il benessere ambientale – tutta la ricchezza di sfumature delle diversità e singolarità sociali. Una nuova, e bella, sfida di Lombardini22 di cui abbiamo parlato con Cristian rivolgendogli quattro/cinque domande.

Che cosa significa Design for All?

Una definizione efficace di EIDD Design for All Europe è “design per la diversità umana”. È un termine ampio che va oltre l’idea di una progettazione orientata ai bisogni delle disabilità, che in realtà è solo una delle sfide, peraltro molto complessa e sfaccettata.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità non esistono persone disabili in sé, ma ambienti disabilitanti, e questi riguardano ognuno di noi.

Inoltre, se pensiamo alle tre macro aree che distinguono le disabilità – permanente, temporanea e situazionale (quella che patisce, per esempio, chi accompagna un figlio piccolo con il passeggino) – è chiaro che siamo tutti potenzialmente coinvolti a diversi livelli. Allora la domanda è: quanto l’ambiente che viviamo ogni giorno ci permette di interagire in modo non discriminante? Si tratta quindi di design relazionale in senso lato, il che richiede una visione ampia: qui dobbiamo inserirci con il nostro ruolo di progettisti e la nostra responsabilità.

Come progettista di Lombardini22, abbracciare esplicitamente il “knowledge brand” – passami il termine – dell’inclusività che cosa comporta?

Intanto una sostanziale innovazione di processo. Per competenze interne, e anche per sensibilità professionali, abbiamo sempre agito in modo attento alle diversità, senza saperlo: oggi mettiamo a sistema queste pratiche e le integriamo in tutti i nostri servizi di consulenza e progettazione. È un layer trasversale.
Cosa comporta? In primo luogo una consapevolezza, un’attenzione particolare al tema. Ciò implica un’analisi sistematica di ciò che già facciamo e, di qui, una ricerca costante di nuovi tasselli e azioni propositive da aggiungere per migliorare: cioè per offrire soluzioni che vadano oltre le prescrizioni normative e abbraccino non solo i bisogni strumentali degli utenti ma le loro ambizioni e aspirazioni.

Per esempio?

Pensiamo al tema dell’autonomia: le rampe per disabili di norma devono avere una pendenza massima dell’8%, ma questa non è superabile senza un accompagnatore (che non tutti possono, o vogliono, permettersi); oppure il servoscala, che richiede lo sblocco e l’assistenza di un operatore. O il bagno disabili, concepito in ambito ospedaliero ed esteso in modo indifferenziato ovunque ma di fatto disfunzionale per molti utenti (oltre che discriminante, e non bello). Si potrebbero fare molti esempi ma in generale il tema è andare oltre la norma e affinare le soluzioni: banalmente, perché non prevedere parcheggi anche per le disabilità temporanee o per gli anziani?

La normativa risponde all’uomo standard, e in questo modo non risponde a nessuno.

La progettazione inclusiva prova a rispondere a tutti. Poi si è anche evoluta nel tempo e oggi considera, oltre alle barriere architettoniche classiche, fisiche, le barriere cognitive. Un campo in cui il wayfinding ma anche acustica e lighting design aiutano molto…

Che sono alcune tra le specialità di Atmos, la business unit in cui operi attualmente dopo molti anni nel Retail…

La mission di Atmos, per sua natura trasversale, è molto coerente con questo approccio. Atmos progetta per il benessere delle persone attraverso aria, luce, suono, olfatto ecc., cioè i domini del comfort, i quali generano anche inclusione sociale. Alcune disabilità, ma in generale noi tutti, abbiamo rilevanti benefici da una buona acustica. Altrettanti se ne ottengono modulando il carattere, anche scenografico, della luce. La qualità dell’aria, comunque fondamentale per la salute, se legata all’olfatto può dare identità a un luogo, renderlo riconoscibile anche a chi è mancante su altri sensi e agire così sulla memoria. Oggi alla qualità ambientale aggiungiamo la qualità sociale – la S di ESG – con un approccio human-centered che, attraverso la qualità percepita dell’ambiente, genera benessere per tutti.

Come cambia il modo di progettare, in termini di processo ma anche di linguaggio?

Un’importante innovazione di processo dovrebbe essere il coinvolgimento degli stakeholder finali, esperti sulle diverse disabilità, in una progettazione partecipata. E questa può influire anche sul linguaggio. Ma solo in termini di vincoli di cui tenere conto. Quindi ci sono più vincoli, che per un progettista sono fondamentali (lo diceva anche Franco Albini, “senza vincoli non so progettare”).

Se i desideri del cliente sono il primo vincolo, il design inclusivo ne aggiunge in più aprendo il target di riferimento.

Quindi è anche un’occasione di business importante e socialmente corretto e offre alle aziende una grossa opportunità di social branding – si calcola che il settore Hospitality potrebbe aumentare del 20% la propria attrattività – perché allarga il campo dell’utenza. A tutti? Probabilmente no. Dire design “for all” è un’utopia, un orizzonte cui tendere, sapendo che non lo raggiungeremo mai, forse… Tuttavia dobbiamo farlo ed essere trasparenti nel dire, di volta in volta, in cosa siamo inclusivi: e soprattutto lavorare in cosa non siamo ancora riusciti ad esserlo.
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