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Place Branding

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Non solo Logo
7/6/2018
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Mai come oggi le città non sono solo città, non lo sono più o, molto più probabilmente, non lo sono mai state. Città come Londra, Parigi, Berlino sono sempre state racconti complessi, esperienze, visioni, memorie: narrazioni in cui si mescolano grandi economie collettive e interessi individuali, sedimentazioni storiche e rapide metamorfosi, stabili identità fisiche e flussi immateriali in continuo movimento.

Mai come oggi le città sono in competizione tra loro. La società è cambiata, è aumentata la mobilità internazionale, sono aumentati i turisti e le destinazioni si sono moltiplicate (la Cina stessa è entrata da tempo, e prepotentemente, nel mercato turistico mondiale), nuovi investimenti sono richiesti e febbrilmente cercati sul mercato globale, e le città devono intercettare questi movimenti di persone, merci e capitali attraverso la valorizzazione delle loro caratteristiche: tangibili (i monumenti, l’architettura) e intangibili (il feeling che una città esprime), sintetizzandole in un sistema di valori comunicabile in modo univoco e riconoscibile. In altre parole: le città devono brandizzarsi, facendo di sé stesse un “prodotto” vero e proprio da lanciare nel grande mare della competitività territoriale.

Ma come farlo? E cosa significa esattamente “Place Branding”? Brandizzare un luogo non coincide semplicemente con la progettazione di un nuovo Logo (anche se un Logo ben studiato è essenziale per veicolare e identificare istantaneamente un brand) ma significa intraprendere una serie di azioni coordinate, di ampio respiro e di medio-lungo termine, che possano restituire al luogo un senso coerente e condivisibile come vettore di relazione con le persone (residenti o no) che lo vivono, frequentano o semplicemente immaginano. Tra le tante definizioni possibili – tra cui quella nota di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, anche se riferita genericamente al termine Brand: “Il tuo brand è ciò che la gente dice di te quando non sei nella stanza” – una piuttosto efficace è la seguente:

Place Branding è il processo di scoperta, creazione, sviluppo e realizzazione di idee e concetti per (ri)definire l’identità, i tratti distintivi e il ‘genius loci’ di un luogo e, conseguentemente, costruirne il senso complessivo. Un processo di Place Branding richiede diversi tipi di investimento: hardware (infrastrutture, edifici), software (eventi, storie), “orgware” (coordinamento delle strutture organizzative) ed elementi “virtuali” (loghi, azioni simboliche, siti Web). 

“One city, one brand”.

‍Amburgo: vsta della HafenCity. A destra, la Filarmonica firmata Herzog & de Meuron

Così recitava il claim del processo di brandizzazione di Amburgo, una best-practise degli anni 2000. Tale approccio si muoveva allora in un territorio inesplorato, poiché molte città e regioni utilizzavano strategie multimarca: per i turisti, per le imprese e il talento, per il mondo accademico, per lo sport, per la cultura e così via. Un processo avviato con ampie indagini di mercato (nel 2004 e 2009) per identificare le percezioni positive associate alla città di Amburgo, i cui risultati hanno costituito la base per lo sviluppo di dodici moduli di successo su cui ancorare saldamente la strategia del marchio: la metropoli sull'acqua, l’area metropolitana, le feste popolari e gli eventi, lo shopping, l’Hamburg sportiva, l’offerta culturale, la Reeperbahn (la celebre via dei locali e negozi a luci rosse, fulcro della vita notturna della città anseatica), la metropoli vivibile, la “szene”, l’attrattività per il business, il commercio internazionale, la crescita e la sostenibilità. Una società ad hoc è stata creata per coordinare e implementare tutto il processo a livello trans-istituzionale: Hamburg Marketing GmbH. 

Nel 2014, nell’ambito del nuovo piano strategico di marketing 2013-2018, è stata condotta una successiva indagine estesa alla regione metropolitana di Amburgo, che nello sforzo di attrarre imprenditori, professionisti e turisti e garantire investimenti compete con oltre 300 regioni urbane in tutto il mondo. È però importante sottolineare come tutto ciò rientra negli investimenti “software”, “orgware” e “virtuali”, ma è allo stesso tempo accompagnato da quel poderoso processo “hardware” di riqualificazione urbana che è HafenCity (il cui Landmark, la Filarmonica di Herzog & De Meuron di recente inaugurata, ha una tempistica che coincide perfettamente con il processo di City Branding: concept 2001-2003, progetto 2004-2014, realizzazione 2006-2016). 

HafenCity è un prodotto urbano “alto di gamma” che si inquadra nel linguaggio culturale, artistico e architettonico tipico di questo nuovo secolo ma con sue specificità: qualità del metodo, trasparenza gestionale, partecipazione attiva, apertura al cambiamento, e soprattutto proprietà pubblica dei suoli e regia tutta pubblica del processo.

A questo riguardo, nel 1997 viene istituita la Gesellschaft für Hafen und Standortentwicklung GHS diventata, nel 2004, la HafenCity Hamburg GmbH, un’emanazione del Comune di Amburgo. Nella sua scommessa di costruire un ponte tra le dimensioni globale e locale (e finanziare la costruzione del nuovo porto) HafenCity è il più grande tassello di una Amburgo che oggi si presenta in questi termini: Living. Loving. Hamburg. 

Dal Destination Marketing tradizionale al City Branding strategico

Amburgo è un caso “storico” di risposta metropolitana alle sfide del mercato contemporaneo e alla competizione dei simboli, una tra le prime città ad affrontare il passaggio dal Destination Marketing tradizionale al City Branding strategico. Ma se una tendenza è emersa durante l’ultimo Mipip di Cannes, è la crescente consapevolezza delle città di doversi misurare con questo scenario in evoluzione: raccontarsi con efficacia, raccogliere la propria complessità e integrarla in potenti immagini di sintesi.

Così Londra si presenta “Open”, riaffermando in un momento storicamente critico la sua energica vocazione di apertura globale – Open è anche stato il concetto portante con cui Copenhagen ha costruito il proprio brand, estrapolandolo dal nome stesso della città: C-OPEN-hagen è città aperta, multiculturale, multietnica, “open for you” ma anche per i turisti, il business, gli investimenti, gli eventi, le esperienze, le alternative. Parigi è “United”, sempre la Grand Paris che sappiamo ma oggi forte di una grande visione unitaria di sviluppo a scala regionale. Bordeaux è “Magnetica”, e punta su un dinamismo collettivo che diventi un fattore organico di attrattività. Luxemburg è il luogo che invita a far accadere le cose: “Let’s make it happen”. Sono tutti messaggi forti, chiari e ambiziosi, ma soprattutto concreti e ben radicati nel reale: brand statement che esprimono contemporaneità e innovazione, che attraversano il proprio momento storico e lo declinano in visioni future con sistemi visuali d’impatto, cromie integrate, segni grafici coordinati e un immaginario visivo futuribile.

Ma sono anche messaggi che devono rispondere a una molteplicità di attori urbani e livelli di significato. Come sintetizzare, quindi, l’identità urbana in immagini immediate, riconoscibili e quindi memorabili per la molteplicità degli attori cui si rivolgono? È qui che il Logo gioca un ruolo cruciale, tenuto conto che “No logo can represent the complexity of a city, but it should try not misrepresent it”, come diceva Milton Glaser, autore del celebre e imitatissimo marchio commerciale I Love New York nel 1976.

Molteplicità nella singolarità

Proprio dalla questione espressa da Glaser – la rappresentabilità della complessità urbana attraverso un Logo – parte il rebranding di New York (studio Wolff Olins, 2007). La domanda era: come ritrarre una città unica ma composta di cinque grandi distretti differenti, con circa 191 quartieri, oltre 8 milioni di abitanti, parlata da 138 lingue diverse (per non dire dei gerghi subculturali che citava Rammelzee negli anni Ottanta: Skydoo, Beat Boy, Detroit ecc.) e percepita attraverso un mix quasi infinito di culture, ideologie, stili di vita? Su tale scenario caleidoscopico, la soluzione adottata è un marchio i cui caratteri “spessi, robusti, un po’ duri (come il carattere di un newyorkese)” che compongono l’acronimo NYC funzionano come una finestra aperta sulla città, rivelando la pluralità di immagini, attività, culture, professioni e persone che la animano e prestandosi, in questo modo, a una varietà di iniziative istituzionali/commerciali (greenNYC, BeFitNYC, milliontreesNYC, NYCGO ecc.) con un’unica e versatile voce.

La molteplicità nella singolarità è la cifra che accomuna altre operazioni anche molto diverse tra loro. La persona come singolo individuo, per esempio, ha guidato un altro caso molto noto: il marchio I AMsterdam, progettato dall’agenzia di comunicazione Kesselskramer (2004). Invece di focalizzarsi sull’architettura, la storia o altre emergenze culturali della città, è stato seguito un diverso approccio: si è voluto celebrare la diversità di ogni singolo cittadino di Amsterdam con un City Branding che rimanda al vivente in tutte le sue soggettività, invitando ognuno a identificarsi con la città attraverso un’immagine unica ma semanticamente aperta.

Più recentemente, la città di Bologna ha seguito una diversa modalità, elaborando non un unico marchio ma un intero alfabeto di simboli (progetto di Matteo Bartoli e Michele Pastore, 2013-2015), a partire da una selezione di archetipi figurativi della città liberamente interpretati (la cinta muraria, il mattone mosaico, la croce e il giglio del gonfalone, il rombo dello stemma antico). Si producono così, su un’unica matrice, variazioni continue ma sempre riconoscibili del marchio, un logo ogni volta diverso per ogni concetto che si vuole esprimere ma che nell’insieme rappresenta sempre l’idea portante: “è Bologna”.

Un altro sistema componibile è quello sviluppato per la città di Porto (White Studio, 2014), un abaco di oltre 70 icone (organizzate in otto categorie: Città, Edifici, Mare e fiume, Gastronomia, São João festival, Cultura, Sport, Trasporti pubblici) le quali, a partire dalla tradizione delle piastrelle azulejos, possono creare racconti diversi con molteplici combinazioni e rappresentare scenari e significati paesaggistici che di volta in volta declinano i valori della città in modi differenti.

 

Milano

Un processo di Place Branding è quindi una storia complessa: deve creare una relazione tra una matrice di valori e l’utente, mettere a sistema i suoi attori e declinare la città come sistema multi-layer da pilotare con coerenza su canali diversi (fisici e virtuali), con regia pubblica e coinvolgimento strutturale misto pubblico-privato, generando infine un’identità in cui tutti si riconoscano (e di cui il Logo è un elemento, importantissimo ma non unico, che ne rappresenta la sintesi iconografica).

In questo quadro, Milano sarebbe in una fase ideale. L’immagine della città ha incrementato sensibilmente la sua reputation internazionale, si è rinnovata nell’“hardware” con grandi progetti di riqualificazione urbana ed è destinata a farlo in modo sostanziale nei prossimi anni: progetti che grazie a un efficiente network immobiliare pubblico-privato le hanno già permesso di raggiungere qualche vetta. 

Presente al Mipim 2018, ha vinto il “Best Urban Regeneration Project” con il progetto Porta Nuova e il “Best Office & Business development” con Feltrinelli Porta Volta. Da poco è stata inaugurata la Torre Prada, ultimo tassello della Fondazione che non solo è il fulcro di una nuova centralità urbana, ma che consolida il ruolo di Milano nell’arte contemporanea (rafforzato anche dalla fiera Miart che sta contendendo il primato ad Artissima di Torino). Il “software” non è da meno: il Salone del Mobile è ormai un modello che sta generando una ricca serie di spin off tematiche durante tutto l’anno. E altre vocazioni ed eccellenze si potrebbero citare: editoria, università, moda, sanità, accoglienza, finanza. Mentre è forse l’“orgware” l’elemento da implementare con più forza (anche se è già stata espressa, durante la presentazione istituzionale della Design Week, la volontà e necessità di fare sistema in modo più strutturato).

È su queste basi concrete che Milano è nelle condizioni storiche adatte per costruire un nuovo brand di città strategico, in grado di rappresentare un’interfaccia seducente per i cittadini, i turisti, gli investitori internazionali, attivare esperimenti positivi che si amplino a più attori, eccellenti e trasversali, e rendere la città ancora più attrattiva e capace di stimolare, coordinare e guidare i cambiamenti. Di fatto, Milano è in qualche modo al guado. Il suo stesso Logo istituzionale, pur riqualificato e declinato anche ad usi commerciali (con rigorose linee guida per rispettare le corrette gerarchie nei diversi usi, istituzionali e misti), è oggi tuttavia insufficiente a rappresentare la ricchezza e molteplicità di livelli semantici della città.

Ma sappiamo che il Logo è solo un sintomo: per esprimere al meglio l’identità, i tratti distintivi, il ‘genius loci’ e, quindi, il senso complessivo della città, lo strumento essenziale è il City Branding, la sua dimensione strategica, la sua matrice di valori e di attori coinvolti: Layers and Players, come amiamo dire.

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June 7, 2018
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June 7, 2018

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Mai come oggi le città non sono solo città, non lo sono più o, molto più probabilmente, non lo sono mai state. Città come Londra, Parigi, Berlino sono sempre state racconti complessi, esperienze, visioni, memorie: narrazioni in cui si mescolano grandi economie collettive e interessi individuali, sedimentazioni storiche e rapide metamorfosi, stabili identità fisiche e flussi immateriali in continuo movimento.

Mai come oggi le città sono in competizione tra loro. La società è cambiata, è aumentata la mobilità internazionale, sono aumentati i turisti e le destinazioni si sono moltiplicate (la Cina stessa è entrata da tempo, e prepotentemente, nel mercato turistico mondiale), nuovi investimenti sono richiesti e febbrilmente cercati sul mercato globale, e le città devono intercettare questi movimenti di persone, merci e capitali attraverso la valorizzazione delle loro caratteristiche: tangibili (i monumenti, l’architettura) e intangibili (il feeling che una città esprime), sintetizzandole in un sistema di valori comunicabile in modo univoco e riconoscibile. In altre parole: le città devono brandizzarsi, facendo di sé stesse un “prodotto” vero e proprio da lanciare nel grande mare della competitività territoriale.

Ma come farlo? E cosa significa esattamente “Place Branding”? Brandizzare un luogo non coincide semplicemente con la progettazione di un nuovo Logo (anche se un Logo ben studiato è essenziale per veicolare e identificare istantaneamente un brand) ma significa intraprendere una serie di azioni coordinate, di ampio respiro e di medio-lungo termine, che possano restituire al luogo un senso coerente e condivisibile come vettore di relazione con le persone (residenti o no) che lo vivono, frequentano o semplicemente immaginano. Tra le tante definizioni possibili – tra cui quella nota di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, anche se riferita genericamente al termine Brand: “Il tuo brand è ciò che la gente dice di te quando non sei nella stanza” – una piuttosto efficace è la seguente:

Place Branding è il processo di scoperta, creazione, sviluppo e realizzazione di idee e concetti per (ri)definire l’identità, i tratti distintivi e il ‘genius loci’ di un luogo e, conseguentemente, costruirne il senso complessivo. Un processo di Place Branding richiede diversi tipi di investimento: hardware (infrastrutture, edifici), software (eventi, storie), “orgware” (coordinamento delle strutture organizzative) ed elementi “virtuali” (loghi, azioni simboliche, siti Web). 

“One city, one brand”.

‍Amburgo: vsta della HafenCity. A destra, la Filarmonica firmata Herzog & de Meuron

Così recitava il claim del processo di brandizzazione di Amburgo, una best-practise degli anni 2000. Tale approccio si muoveva allora in un territorio inesplorato, poiché molte città e regioni utilizzavano strategie multimarca: per i turisti, per le imprese e il talento, per il mondo accademico, per lo sport, per la cultura e così via. Un processo avviato con ampie indagini di mercato (nel 2004 e 2009) per identificare le percezioni positive associate alla città di Amburgo, i cui risultati hanno costituito la base per lo sviluppo di dodici moduli di successo su cui ancorare saldamente la strategia del marchio: la metropoli sull'acqua, l’area metropolitana, le feste popolari e gli eventi, lo shopping, l’Hamburg sportiva, l’offerta culturale, la Reeperbahn (la celebre via dei locali e negozi a luci rosse, fulcro della vita notturna della città anseatica), la metropoli vivibile, la “szene”, l’attrattività per il business, il commercio internazionale, la crescita e la sostenibilità. Una società ad hoc è stata creata per coordinare e implementare tutto il processo a livello trans-istituzionale: Hamburg Marketing GmbH. 

Nel 2014, nell’ambito del nuovo piano strategico di marketing 2013-2018, è stata condotta una successiva indagine estesa alla regione metropolitana di Amburgo, che nello sforzo di attrarre imprenditori, professionisti e turisti e garantire investimenti compete con oltre 300 regioni urbane in tutto il mondo. È però importante sottolineare come tutto ciò rientra negli investimenti “software”, “orgware” e “virtuali”, ma è allo stesso tempo accompagnato da quel poderoso processo “hardware” di riqualificazione urbana che è HafenCity (il cui Landmark, la Filarmonica di Herzog & De Meuron di recente inaugurata, ha una tempistica che coincide perfettamente con il processo di City Branding: concept 2001-2003, progetto 2004-2014, realizzazione 2006-2016). 

HafenCity è un prodotto urbano “alto di gamma” che si inquadra nel linguaggio culturale, artistico e architettonico tipico di questo nuovo secolo ma con sue specificità: qualità del metodo, trasparenza gestionale, partecipazione attiva, apertura al cambiamento, e soprattutto proprietà pubblica dei suoli e regia tutta pubblica del processo.

A questo riguardo, nel 1997 viene istituita la Gesellschaft für Hafen und Standortentwicklung GHS diventata, nel 2004, la HafenCity Hamburg GmbH, un’emanazione del Comune di Amburgo. Nella sua scommessa di costruire un ponte tra le dimensioni globale e locale (e finanziare la costruzione del nuovo porto) HafenCity è il più grande tassello di una Amburgo che oggi si presenta in questi termini: Living. Loving. Hamburg. 

Dal Destination Marketing tradizionale al City Branding strategico

Amburgo è un caso “storico” di risposta metropolitana alle sfide del mercato contemporaneo e alla competizione dei simboli, una tra le prime città ad affrontare il passaggio dal Destination Marketing tradizionale al City Branding strategico. Ma se una tendenza è emersa durante l’ultimo Mipip di Cannes, è la crescente consapevolezza delle città di doversi misurare con questo scenario in evoluzione: raccontarsi con efficacia, raccogliere la propria complessità e integrarla in potenti immagini di sintesi.

Così Londra si presenta “Open”, riaffermando in un momento storicamente critico la sua energica vocazione di apertura globale – Open è anche stato il concetto portante con cui Copenhagen ha costruito il proprio brand, estrapolandolo dal nome stesso della città: C-OPEN-hagen è città aperta, multiculturale, multietnica, “open for you” ma anche per i turisti, il business, gli investimenti, gli eventi, le esperienze, le alternative. Parigi è “United”, sempre la Grand Paris che sappiamo ma oggi forte di una grande visione unitaria di sviluppo a scala regionale. Bordeaux è “Magnetica”, e punta su un dinamismo collettivo che diventi un fattore organico di attrattività. Luxemburg è il luogo che invita a far accadere le cose: “Let’s make it happen”. Sono tutti messaggi forti, chiari e ambiziosi, ma soprattutto concreti e ben radicati nel reale: brand statement che esprimono contemporaneità e innovazione, che attraversano il proprio momento storico e lo declinano in visioni future con sistemi visuali d’impatto, cromie integrate, segni grafici coordinati e un immaginario visivo futuribile.

Ma sono anche messaggi che devono rispondere a una molteplicità di attori urbani e livelli di significato. Come sintetizzare, quindi, l’identità urbana in immagini immediate, riconoscibili e quindi memorabili per la molteplicità degli attori cui si rivolgono? È qui che il Logo gioca un ruolo cruciale, tenuto conto che “No logo can represent the complexity of a city, but it should try not misrepresent it”, come diceva Milton Glaser, autore del celebre e imitatissimo marchio commerciale I Love New York nel 1976.

Molteplicità nella singolarità

Proprio dalla questione espressa da Glaser – la rappresentabilità della complessità urbana attraverso un Logo – parte il rebranding di New York (studio Wolff Olins, 2007). La domanda era: come ritrarre una città unica ma composta di cinque grandi distretti differenti, con circa 191 quartieri, oltre 8 milioni di abitanti, parlata da 138 lingue diverse (per non dire dei gerghi subculturali che citava Rammelzee negli anni Ottanta: Skydoo, Beat Boy, Detroit ecc.) e percepita attraverso un mix quasi infinito di culture, ideologie, stili di vita? Su tale scenario caleidoscopico, la soluzione adottata è un marchio i cui caratteri “spessi, robusti, un po’ duri (come il carattere di un newyorkese)” che compongono l’acronimo NYC funzionano come una finestra aperta sulla città, rivelando la pluralità di immagini, attività, culture, professioni e persone che la animano e prestandosi, in questo modo, a una varietà di iniziative istituzionali/commerciali (greenNYC, BeFitNYC, milliontreesNYC, NYCGO ecc.) con un’unica e versatile voce.

La molteplicità nella singolarità è la cifra che accomuna altre operazioni anche molto diverse tra loro. La persona come singolo individuo, per esempio, ha guidato un altro caso molto noto: il marchio I AMsterdam, progettato dall’agenzia di comunicazione Kesselskramer (2004). Invece di focalizzarsi sull’architettura, la storia o altre emergenze culturali della città, è stato seguito un diverso approccio: si è voluto celebrare la diversità di ogni singolo cittadino di Amsterdam con un City Branding che rimanda al vivente in tutte le sue soggettività, invitando ognuno a identificarsi con la città attraverso un’immagine unica ma semanticamente aperta.

Più recentemente, la città di Bologna ha seguito una diversa modalità, elaborando non un unico marchio ma un intero alfabeto di simboli (progetto di Matteo Bartoli e Michele Pastore, 2013-2015), a partire da una selezione di archetipi figurativi della città liberamente interpretati (la cinta muraria, il mattone mosaico, la croce e il giglio del gonfalone, il rombo dello stemma antico). Si producono così, su un’unica matrice, variazioni continue ma sempre riconoscibili del marchio, un logo ogni volta diverso per ogni concetto che si vuole esprimere ma che nell’insieme rappresenta sempre l’idea portante: “è Bologna”.

Un altro sistema componibile è quello sviluppato per la città di Porto (White Studio, 2014), un abaco di oltre 70 icone (organizzate in otto categorie: Città, Edifici, Mare e fiume, Gastronomia, São João festival, Cultura, Sport, Trasporti pubblici) le quali, a partire dalla tradizione delle piastrelle azulejos, possono creare racconti diversi con molteplici combinazioni e rappresentare scenari e significati paesaggistici che di volta in volta declinano i valori della città in modi differenti.

 

Milano

Un processo di Place Branding è quindi una storia complessa: deve creare una relazione tra una matrice di valori e l’utente, mettere a sistema i suoi attori e declinare la città come sistema multi-layer da pilotare con coerenza su canali diversi (fisici e virtuali), con regia pubblica e coinvolgimento strutturale misto pubblico-privato, generando infine un’identità in cui tutti si riconoscano (e di cui il Logo è un elemento, importantissimo ma non unico, che ne rappresenta la sintesi iconografica).

In questo quadro, Milano sarebbe in una fase ideale. L’immagine della città ha incrementato sensibilmente la sua reputation internazionale, si è rinnovata nell’“hardware” con grandi progetti di riqualificazione urbana ed è destinata a farlo in modo sostanziale nei prossimi anni: progetti che grazie a un efficiente network immobiliare pubblico-privato le hanno già permesso di raggiungere qualche vetta. 

Presente al Mipim 2018, ha vinto il “Best Urban Regeneration Project” con il progetto Porta Nuova e il “Best Office & Business development” con Feltrinelli Porta Volta. Da poco è stata inaugurata la Torre Prada, ultimo tassello della Fondazione che non solo è il fulcro di una nuova centralità urbana, ma che consolida il ruolo di Milano nell’arte contemporanea (rafforzato anche dalla fiera Miart che sta contendendo il primato ad Artissima di Torino). Il “software” non è da meno: il Salone del Mobile è ormai un modello che sta generando una ricca serie di spin off tematiche durante tutto l’anno. E altre vocazioni ed eccellenze si potrebbero citare: editoria, università, moda, sanità, accoglienza, finanza. Mentre è forse l’“orgware” l’elemento da implementare con più forza (anche se è già stata espressa, durante la presentazione istituzionale della Design Week, la volontà e necessità di fare sistema in modo più strutturato).

È su queste basi concrete che Milano è nelle condizioni storiche adatte per costruire un nuovo brand di città strategico, in grado di rappresentare un’interfaccia seducente per i cittadini, i turisti, gli investitori internazionali, attivare esperimenti positivi che si amplino a più attori, eccellenti e trasversali, e rendere la città ancora più attrattiva e capace di stimolare, coordinare e guidare i cambiamenti. Di fatto, Milano è in qualche modo al guado. Il suo stesso Logo istituzionale, pur riqualificato e declinato anche ad usi commerciali (con rigorose linee guida per rispettare le corrette gerarchie nei diversi usi, istituzionali e misti), è oggi tuttavia insufficiente a rappresentare la ricchezza e molteplicità di livelli semantici della città.

Ma sappiamo che il Logo è solo un sintomo: per esprimere al meglio l’identità, i tratti distintivi, il ‘genius loci’ e, quindi, il senso complessivo della città, lo strumento essenziale è il City Branding, la sua dimensione strategica, la sua matrice di valori e di attori coinvolti: Layers and Players, come amiamo dire.

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June 7, 2018
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