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Le nuove frontiere del lusso

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Opposti apparentemente inconciliabili
2/10/2017
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“… Era il conto più favoloso di tutti i conti di tutti gli alberghi che io mai avessi pagato, ma non me ne importava niente. Stavo troppo bene in una mattina fredda e umida, con i piedi ghiacciati dentro le scarpe ghiacciate, dopo che mi ero ubriacato e tutti ci eravamo ubriacati di sakè la sera prima e la notte per via della felicità (dopo tanto tempo) di avere trovato un posto dove stare seduti per terra come si faceva quattromila anni fa, senza le cinture, senza le scarpe, senza le giacche, senza i colletti e senza i polsini…”

Sarebbe troppo lungo citare tutto ciò che scriveva Ettore Sottsass Jr sulla sua permanenza in un ryokan di Kyoto, nel lontano 1967, e dire perché quel conto era più favoloso di quello di tutti gli alberghi frequentati nella sua giovinezza e maturità, luoghi miserabili o “albergoni albergoni”, da Montecarlo a Bhopal, da Broadway a Nuova Delhi, dalle isole Vergini a Bali e così via. Quel ryokan di Kyoto non aveva nulla di ciò a cui la moderna hotellerie ci ha abituato per farci partecipi del gioco del lusso. Ma cos’è il gioco del lusso?

Una domanda solo apparentemente semplice. Il lusso è un concetto, e come tale non ha forma né sostanza, eppure coinvolge in maniera straordinaria l’emotività e la capacità di giudizio dell’individuo, singolarmente e come membro di una comunità. Il racconto di Sottsass ci insegna che il lusso è anche una condizione strettamente collegata all’esperienza individuale, al proprio status, all’appartenenza a un determinato panorama culturale, geografico e storico. Non solo: il lusso, poiché stato d’eccezione, può anche essere ciò che dà forma a un momento speciale della propria vita, istantaneo e non replicabile.

Eppure, il lusso è anche un’idea collettiva, condivisa e in qualche modo riconoscibile, oggi soprattutto in quei segni più o meno omologati che tendono ad assorbire le caratteristiche spaziali e temporali dei processi della globalizzazione. È il caso del settore alberghiero, dove l’idea di lusso tende a modelli stilistici sufficientemente omogenei e standardizzati da poter incontrare, sotto la spinta di una realtà liquida e interconnessa, i gusti di una clientela varia e internazionale abituata a scambi culturali rapidi e ad elevata intensità.

Evoluzione del lusso

Per tale clientela, negli ultimi anni quello standard ha preso le forme di cornici discrete, che pur declinate in modi diversi rispondono a una misurata estetica minimalista: difficile apprezzare, ormai, l’ostentazione dei segni di una certa cultura “New Russian” di qualche anno fa (con tutti gli annessi e vertiginosi dettagli). È questo un esito delle profonde trasformazioni che hanno travolto l’ambito dell’ospitalità negli ultimi 15 anni, cambiamenti legati a eventi anche drammatici: con il famigerato 11 settembre, un crollo estremamente sensibile delle presenze mondiali legate soprattutto al business del “4 stelle” ha decretato l’inizio del declino delle categorie intermedie. Parallelamente il lusso è diventato sempre più lusso, mentre è rapidamente cresciuto il mondo del budget hotel. Il risultato è una polarizzazione sempre più spinta.

Ma il versante più “alto” ed “extra” lusso di questa polarizzazione, non solo non risponde più alla magnificenza dei segni abbracciando quel minimalismo di cui si è detto, ma può spingere quest’ultimo ben oltre se stesso, a una sua estrema riduzione: la si potrebbe dire una formula “à la Abramovich”, che va cinque giorni nel deserto con un cammello e, all’insegna di un ritorno alle origini, all’archetipo, dorme in una tenda (certo, di gran lusso e con cibo sopraffino). Ci troviamo qui nella totale personalizzazione dell’esperienza del vivere e dell’abitare, dove l’esclusività è interpretata come ulteriore traguardo individuale oltre il proprio status, facendo di un’esperienza primaria e “frugale” l’atto elitario di chi normalmente vive nell’agio di grandi dimore.

Il lusso è quindi qualcosa di complesso e articolato, talvolta un vero e proprio cortocircuito tra opposti apparentemente inconciliabili, e per questo motivo oggetto di continua riflessione nell’attività progettuale di chi, come noi, ne deve manipolare gli elementi con la consapevolezza di trattare un materiale di difficile definizione e dalla molteplice natura. Come declinare questa molteplicità?

Come declinare questa molteplicità?

Probabilmente ci sono infiniti modi, ma ci piace pensare che la qualità, l’esclusività, l’unicità che il lusso da sempre richiede si possano avvicinare abbandonando qualsiasi protagonismo architettonico e linguistico, che il cosiddetto “neolux” mostra ormai di non apprezzare più di tanto, e fare un’architettura che sappia dialogare tra individualità e universalità, anima locale dei luoghi e codici globalmente identificabili, reinventandosi ogni volta.

Collettivo

E così, per esempio, dover tradurre in spazio architettonico un brand di moda o della ricettività, nelle vesti di un boutique hotel o di una residenza servita, immerso nel millenario contesto storico di una città come Roma o nell’ambiente montano più rarefatto ma altrettanto sofisticato dell’Engadina, attiverà una serie di accorgimenti naturalmente diversi tra loro, ma anche accomunati da alcune analogie interpretative: significherà, da una parte, giocare con una certa teatralità, con materiali come un cocciopesto o un travertino cioccolato, con texture e decori che arricchiscono le superfici interne come fossero basi tessili da “impollinare”, con un’idea di villa romana; vorrà dire, dall’altra, disporre boiserie in legno piallato a mano, ricami a punto cavallo, metalli cotti che diano sensazioni di calore in un contesto prevalentemente invernale, seguendo un’idea raffinata di baita di montagna; ma tutto ciò dovrà esprimere, in entrambi i casi, l’identità di un marchio che è esso stesso luogo, cioè un insieme di qualità stilistiche che una determinata comunità sceglie di frequentare, abitare (vestire) e che pretende di riconoscere, e tutto ciò all’interno di uno standard (alto, altissimo) i cui valori attesi, tanto codificati quanto ineludibili, determinano anch’essi un preciso (e in qualche modo globale) spazio abitabile.

Kempinski Residences, St. Moritz,Svizzera

Privato

Anche una residenza privata può rispondere a questa logica, e articolarne gli aspetti nei suoi vari ambienti anche in funzione dei loro diversi gradienti di socialità. Nella zona living, per esempio, l’apertura agli ospiti può richiedere un linguaggio riconoscibile a livello collettivo, come una chiave d’accesso con cui dichiarare la propria appartenenza a una comunità economica e sociale privilegiata, la quale soprattutto potrà (dovrà) sentirsi immediatamente rappresentata (è il brand, la declinazione globale). All’opposto, la zona notte può sprigionare senza mediazioni formule espressive del tutto personali, rispondere ad ambizioni, desideri, idiosincrasie meno codificabili, e il tema diventa la qualità emotiva, intima e individuale, del tempo passato in camera (l’anima locale del luogo). Tra questi poli potranno esserci spazi in un certo senso “intermedi” che, in funzione delle culture e delle latitudini, rappresentano il vero cuore della casa: la cucina per esempio, la socialità famigliare. E ognuno di questi ambienti è un progetto in cui il lusso prende forme e significati diversi.

‍The Roman Penthouse, Roma

Il ruolo dell'architettura

Tralasciamo tutti quei servizi (trasporto con autista dalla soglia di casa, priority track e ingresso ad aree lounge dedicate, suite con area lavoro e relax, ristorazione in camera con chef stellato, maggiordomo a tempo pieno, servizi Spa personalizzati, shop assistance e così via), unici, personalizzati e allo stesso tempo universali nei loro codici, che sono la summa finale di qualcosa di più ampio che possiamo chiamare la “lussosfera”. L’architettura ne tiene conto, ma non le appartengono.

È invece all’interno di quei sottili e sfidanti rapporti, spaziali e materici, individuali e collettivi, che come progettisti partecipiamo ogni volta al “gioco del lusso”: avvicinandoci ad esso per sfumature, con una tensione anche erotica, e anche sapendo che non necessariamente dovremo servircene in prima persona.

Ma forse è proprio da una relativa distanza che possiamo focalizzare questo tema complesso e affascinante, interpretarlo con equilibrio (e invenzione), e magari centrarlo. È il gioco dell’architettura, altrettanto affascinante.

Armani Hotel, Milano

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October 2, 2017
Attualità
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October 2, 2017

Le nuove frontiere del lusso

Il lusso è un concetto, e come tale non ha forma né sostanza, eppure coinvolge in maniera straordinaria l’emotività e la capacità di giudizio dell’individuo, singolarmente e come membro di una comunità.
Il lusso è un concetto, e come tale non ha forma né sostanza, eppure coinvolge in maniera straordinaria l’emotività e la capacità di giudizio dell’individuo, singolarmente e come membro di una comunità.
“… Era il conto più favoloso di tutti i conti di tutti gli alberghi che io mai avessi pagato, ma non me ne importava niente. Stavo troppo bene in una mattina fredda e umida, con i piedi ghiacciati dentro le scarpe ghiacciate, dopo che mi ero ubriacato e tutti ci eravamo ubriacati di sakè la sera prima e la notte per via della felicità (dopo tanto tempo) di avere trovato un posto dove stare seduti per terra come si faceva quattromila anni fa, senza le cinture, senza le scarpe, senza le giacche, senza i colletti e senza i polsini…”

Sarebbe troppo lungo citare tutto ciò che scriveva Ettore Sottsass Jr sulla sua permanenza in un ryokan di Kyoto, nel lontano 1967, e dire perché quel conto era più favoloso di quello di tutti gli alberghi frequentati nella sua giovinezza e maturità, luoghi miserabili o “albergoni albergoni”, da Montecarlo a Bhopal, da Broadway a Nuova Delhi, dalle isole Vergini a Bali e così via. Quel ryokan di Kyoto non aveva nulla di ciò a cui la moderna hotellerie ci ha abituato per farci partecipi del gioco del lusso. Ma cos’è il gioco del lusso?

Una domanda solo apparentemente semplice. Il lusso è un concetto, e come tale non ha forma né sostanza, eppure coinvolge in maniera straordinaria l’emotività e la capacità di giudizio dell’individuo, singolarmente e come membro di una comunità. Il racconto di Sottsass ci insegna che il lusso è anche una condizione strettamente collegata all’esperienza individuale, al proprio status, all’appartenenza a un determinato panorama culturale, geografico e storico. Non solo: il lusso, poiché stato d’eccezione, può anche essere ciò che dà forma a un momento speciale della propria vita, istantaneo e non replicabile.

Eppure, il lusso è anche un’idea collettiva, condivisa e in qualche modo riconoscibile, oggi soprattutto in quei segni più o meno omologati che tendono ad assorbire le caratteristiche spaziali e temporali dei processi della globalizzazione. È il caso del settore alberghiero, dove l’idea di lusso tende a modelli stilistici sufficientemente omogenei e standardizzati da poter incontrare, sotto la spinta di una realtà liquida e interconnessa, i gusti di una clientela varia e internazionale abituata a scambi culturali rapidi e ad elevata intensità.

Evoluzione del lusso

Per tale clientela, negli ultimi anni quello standard ha preso le forme di cornici discrete, che pur declinate in modi diversi rispondono a una misurata estetica minimalista: difficile apprezzare, ormai, l’ostentazione dei segni di una certa cultura “New Russian” di qualche anno fa (con tutti gli annessi e vertiginosi dettagli). È questo un esito delle profonde trasformazioni che hanno travolto l’ambito dell’ospitalità negli ultimi 15 anni, cambiamenti legati a eventi anche drammatici: con il famigerato 11 settembre, un crollo estremamente sensibile delle presenze mondiali legate soprattutto al business del “4 stelle” ha decretato l’inizio del declino delle categorie intermedie. Parallelamente il lusso è diventato sempre più lusso, mentre è rapidamente cresciuto il mondo del budget hotel. Il risultato è una polarizzazione sempre più spinta.

Ma il versante più “alto” ed “extra” lusso di questa polarizzazione, non solo non risponde più alla magnificenza dei segni abbracciando quel minimalismo di cui si è detto, ma può spingere quest’ultimo ben oltre se stesso, a una sua estrema riduzione: la si potrebbe dire una formula “à la Abramovich”, che va cinque giorni nel deserto con un cammello e, all’insegna di un ritorno alle origini, all’archetipo, dorme in una tenda (certo, di gran lusso e con cibo sopraffino). Ci troviamo qui nella totale personalizzazione dell’esperienza del vivere e dell’abitare, dove l’esclusività è interpretata come ulteriore traguardo individuale oltre il proprio status, facendo di un’esperienza primaria e “frugale” l’atto elitario di chi normalmente vive nell’agio di grandi dimore.

Il lusso è quindi qualcosa di complesso e articolato, talvolta un vero e proprio cortocircuito tra opposti apparentemente inconciliabili, e per questo motivo oggetto di continua riflessione nell’attività progettuale di chi, come noi, ne deve manipolare gli elementi con la consapevolezza di trattare un materiale di difficile definizione e dalla molteplice natura. Come declinare questa molteplicità?

Come declinare questa molteplicità?

Probabilmente ci sono infiniti modi, ma ci piace pensare che la qualità, l’esclusività, l’unicità che il lusso da sempre richiede si possano avvicinare abbandonando qualsiasi protagonismo architettonico e linguistico, che il cosiddetto “neolux” mostra ormai di non apprezzare più di tanto, e fare un’architettura che sappia dialogare tra individualità e universalità, anima locale dei luoghi e codici globalmente identificabili, reinventandosi ogni volta.

Collettivo

E così, per esempio, dover tradurre in spazio architettonico un brand di moda o della ricettività, nelle vesti di un boutique hotel o di una residenza servita, immerso nel millenario contesto storico di una città come Roma o nell’ambiente montano più rarefatto ma altrettanto sofisticato dell’Engadina, attiverà una serie di accorgimenti naturalmente diversi tra loro, ma anche accomunati da alcune analogie interpretative: significherà, da una parte, giocare con una certa teatralità, con materiali come un cocciopesto o un travertino cioccolato, con texture e decori che arricchiscono le superfici interne come fossero basi tessili da “impollinare”, con un’idea di villa romana; vorrà dire, dall’altra, disporre boiserie in legno piallato a mano, ricami a punto cavallo, metalli cotti che diano sensazioni di calore in un contesto prevalentemente invernale, seguendo un’idea raffinata di baita di montagna; ma tutto ciò dovrà esprimere, in entrambi i casi, l’identità di un marchio che è esso stesso luogo, cioè un insieme di qualità stilistiche che una determinata comunità sceglie di frequentare, abitare (vestire) e che pretende di riconoscere, e tutto ciò all’interno di uno standard (alto, altissimo) i cui valori attesi, tanto codificati quanto ineludibili, determinano anch’essi un preciso (e in qualche modo globale) spazio abitabile.

Kempinski Residences, St. Moritz,Svizzera

Privato

Anche una residenza privata può rispondere a questa logica, e articolarne gli aspetti nei suoi vari ambienti anche in funzione dei loro diversi gradienti di socialità. Nella zona living, per esempio, l’apertura agli ospiti può richiedere un linguaggio riconoscibile a livello collettivo, come una chiave d’accesso con cui dichiarare la propria appartenenza a una comunità economica e sociale privilegiata, la quale soprattutto potrà (dovrà) sentirsi immediatamente rappresentata (è il brand, la declinazione globale). All’opposto, la zona notte può sprigionare senza mediazioni formule espressive del tutto personali, rispondere ad ambizioni, desideri, idiosincrasie meno codificabili, e il tema diventa la qualità emotiva, intima e individuale, del tempo passato in camera (l’anima locale del luogo). Tra questi poli potranno esserci spazi in un certo senso “intermedi” che, in funzione delle culture e delle latitudini, rappresentano il vero cuore della casa: la cucina per esempio, la socialità famigliare. E ognuno di questi ambienti è un progetto in cui il lusso prende forme e significati diversi.

‍The Roman Penthouse, Roma

Il ruolo dell'architettura

Tralasciamo tutti quei servizi (trasporto con autista dalla soglia di casa, priority track e ingresso ad aree lounge dedicate, suite con area lavoro e relax, ristorazione in camera con chef stellato, maggiordomo a tempo pieno, servizi Spa personalizzati, shop assistance e così via), unici, personalizzati e allo stesso tempo universali nei loro codici, che sono la summa finale di qualcosa di più ampio che possiamo chiamare la “lussosfera”. L’architettura ne tiene conto, ma non le appartengono.

È invece all’interno di quei sottili e sfidanti rapporti, spaziali e materici, individuali e collettivi, che come progettisti partecipiamo ogni volta al “gioco del lusso”: avvicinandoci ad esso per sfumature, con una tensione anche erotica, e anche sapendo che non necessariamente dovremo servircene in prima persona.

Ma forse è proprio da una relativa distanza che possiamo focalizzare questo tema complesso e affascinante, interpretarlo con equilibrio (e invenzione), e magari centrarlo. È il gioco dell’architettura, altrettanto affascinante.

Armani Hotel, Milano

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October 2, 2017
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