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Come progettare uno spazio retail di qualità

Data Centers of the future are here

I luoghi del commercio che danno energia alla città
9/2/2018
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Da qualche tempo il mondo del Retail cosiddetto “brick and mortar” si sta ingegnando per offrire inedite esperienze ai propri clienti, reagendo così alla smaterializzazione e alla dispersione del suo pubblico per effetto dell'ecommerce e delle nuove tecnologie. I numeri della crisi con cui si confronta sono in effetti abbastanza impressionanti: per esempio, dalla conferenza BOF Voices di dicembre 2017 (il convegno annuale sul futuro del fashion system), è emerso che, solo negli Stati Uniti, siano state chiuse quasi 9.000 importanti boutique legate all'abbigliamento in un anno, una media di più di 20 chiusure al giorno. E così i negozi che vogliano sopravvivere devono inventarsi degli espedienti. Di fatto, "le boutique di ieri devono smetterla di vendere prodotti e devono iniziare a fornire esperienze", spiega un riconosciuto “profeta del retail” come Doug Stephens. Affermazione che si appoggia anche su noti dati statistici, i quali fotografano il più ambito, vezzeggiato e sedotto segmento socio-demografico attuale – i Millennials – riportando quanto tale generazione preferisca in gran parte, si dice per il 78%, spendere i propri soldi in esperienze (virtuali o reali come concerti, viaggi, cibo e performance) piuttosto che in prodotti.

Quindi esperienze, performance, servizi. Ma, aggiungiamo noi, per qualcuno può anche essere lo spazio: quello costruito e oggi in crisi di rappresentazione. Ovvero: il Retail “fisico” può reagire alla crisi dello shopping tradizionale senz'altro attraendo clienti e visitatori con nuovi servizi, e magari anche con qualche fantasmagoria, ma poi deve saperli trattenere e farli tornare, e può riuscirci offrendo la qualità concreta dei suoi spazi fisici.

Come si costruisce questa qualità? Come rinnovarla e mantenerla nel tempo?

In Lombardini22 siamo impegnati da anni in questo settore del Real Estate e sappiamo bene che la questione è complessa, richiede analisi e visioni con cui ci confrontiamo da oltre 10 anni, e proprio per questo motivo abbiamo deciso di raccontarne le molteplici sfaccettature. Il libro “Progettare il Retail” è un percorso analitico e concreto nello spazio architettonico dei centri commerciali, i quali, in quanto aggregatori di negozi, sono il “brick and mortar” all'ennesima potenza. Non solo: in quanto tessuto connettivo che struttura un grande insieme di singole attività, sono potenziali generatori di atmosfere assimilabili a quelle che possiamo respirare nella vibrante vitalità delle High-Street urbane. Le quali sono anch'esse in crisi, peraltro, poiché in molti casi anche le High-Street soffrono di quel fenomeno di svuotamento dovuto all’e-commerce e alla crisi del retail tradizionale, e devono necessariamente rinnovarsi per sopravvivere.

Anche qui, alcuni studi di cosiddetto “fiction design” hanno ipotizzato scenari futuri che fanno perno su nuovi servizi: alcuni estremamente individualizzati, come l'iper-personalizzazione di un'offerta resa possibile da profilazioni sempre più accurate dei clienti attraverso l’uso di big data sempre più “big”, modellati sul tracciamento dei consumi di ognuno e ritagliati ad hoc su un nostro ologramma; oppure si parla di espedienti mixed-use fortemente tecnologicizzati, come i Track-Mart. Esempi, questi, il cui impatto urbano è però tendenzialmente negativo per i rischi di enclave elitaria, da una parte, o di eccessivo dominio macchinistico, dall'altra. Più promettenti sono altri scenari: come quelli basati sui Mutable Markets, fatti di negozi pop-up e temporanei grazie a forniture d’arredo robotico e trasformabile; su possibili Indie Guild che sfruttano l’evoluzione delle stampanti 3d e la crescita d’interesse per l’autoproduzione e la vendita diretta; o sul concetto di Community Commons. Non a caso l'impatto urbano è qui ritenuto più positivo: per la possibile vitalità dei luoghi generati, in costante evoluzione e da scoprire attraverso i social media e il wayfinding digitale, per le loro basse barriere d'ingresso, per la costruzione e il mantenimento (con un'opportuna programmazione) di una piacevole e diversificata fruibilità collettiva. In altre parole, sono scenari inclusivi che hanno nel loro DNA un'aperta dimensione pubblica.

Dimensione pubblica e coinvolgimento urbano che anche i centri commerciali hanno e devono condividere. Ed è, questo aspettoun elemento di fondamentale importanza.

Cosa permette infatti di caratterizzare la qualità di una città? Certamente una prima componente sono i suoi spazi pubblici, o meglio, la vivibilità degli spazi pubblici. Alla base della creazione di valore nel Real Estate, soprattutto quando riferito ai luoghi del commercio, non c'è solo il volume costruito, risultato della mera operazione immobiliare, ma qualcosa di più “olistico” e apparentemente impalpabile: possiamo azzardarci a dire che è l’ottenimento della felicità delle persone che vivono gli spazi generati. In altre parole: il valore intrinseco del Real Estate è l'ambiente complessivo generato dalle sue operazioni, il quale, aldilà dei suoi confini spaziali, deve saper comunicare e diffondere “l’energia” in esso contenutaÈ questa energia che fa la differenza tra uno spazio fisico e un luogo. La composizione di questi luoghi genera la città, e possono dirsi a misura d’uomo solo se in grado di creare relazioni e scambi, fisici e non solo. Ovvero: soddisfazione e felicità dei fruitori.

È ovvio che in questo processo devono entrare con gran forza sia la realtà pubblica sia quella privata, poiché la qualità di una città non può essere demandata solo a una parte. Entrambi sono soggetti attivi e impegnati, ognuno con la propria responsabilità sociale ed economica, a garantire la creazione di quel valore che permette alle città, e di conseguenza all'intera società, di svilupparsi e progredire. In questa grande ambizione, gli spazi del Retail hanno un ruolo primario, siano essi grandi strutture concentrate o capillari diffusioni urbane.

E questo abbiamo cercato di raccontare nel libro Progettare il Retail: un racconto che si basa sulla nostra esperienza progettuale, ma anche un testo dallo sguardo generale e proiettato al futuro, con la consapevolezza che i luoghi del commercio sono sempre stati, e saranno ancora, i tasselli che nel loro insieme danno energia alla città e al nostro vivere insieme con gli altri: quindi, da progettare con cura.

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February 9, 2018
Redazionale
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February 9, 2018

Come progettare uno spazio retail di qualità

Da qualche tempo il mondo del Retail cosiddetto “brick and mortar” si sta ingegnando per offrire inedite esperienze ai propri clienti, reagendo così alla smaterializzazione e alla dispersione del suo pubblico per effetto dell'ecommerce e delle nuove tecnologie. I numeri della crisi con cui si confronta sono in effetti abbastanza impressionanti: per esempio, dalla conferenza BOF Voices di dicembre 2017 (il convegno annuale sul futuro del fashion system), è emerso che, solo negli Stati Uniti, siano state chiuse quasi 9.000 importanti boutique legate all'abbigliamento in un anno, una media di più di 20 chiusure al giorno. E così i negozi che vogliano sopravvivere devono inventarsi degli espedienti. Di fatto, "le boutique di ieri devono smetterla di vendere prodotti e devono iniziare a fornire esperienze", spiega un riconosciuto “profeta del retail” come Doug Stephens. Affermazione che si appoggia anche su noti dati statistici, i quali fotografano il più ambito, vezzeggiato e sedotto segmento socio-demografico attuale – i Millennials – riportando quanto tale generazione preferisca in gran parte, si dice per il 78%, spendere i propri soldi in esperienze (virtuali o reali come concerti, viaggi, cibo e performance) piuttosto che in prodotti.

Quindi esperienze, performance, servizi. Ma, aggiungiamo noi, per qualcuno può anche essere lo spazio: quello costruito e oggi in crisi di rappresentazione. Ovvero: il Retail “fisico” può reagire alla crisi dello shopping tradizionale senz'altro attraendo clienti e visitatori con nuovi servizi, e magari anche con qualche fantasmagoria, ma poi deve saperli trattenere e farli tornare, e può riuscirci offrendo la qualità concreta dei suoi spazi fisici.

Come si costruisce questa qualità? Come rinnovarla e mantenerla nel tempo?

In Lombardini22 siamo impegnati da anni in questo settore del Real Estate e sappiamo bene che la questione è complessa, richiede analisi e visioni con cui ci confrontiamo da oltre 10 anni, e proprio per questo motivo abbiamo deciso di raccontarne le molteplici sfaccettature. Il libro “Progettare il Retail” è un percorso analitico e concreto nello spazio architettonico dei centri commerciali, i quali, in quanto aggregatori di negozi, sono il “brick and mortar” all'ennesima potenza. Non solo: in quanto tessuto connettivo che struttura un grande insieme di singole attività, sono potenziali generatori di atmosfere assimilabili a quelle che possiamo respirare nella vibrante vitalità delle High-Street urbane. Le quali sono anch'esse in crisi, peraltro, poiché in molti casi anche le High-Street soffrono di quel fenomeno di svuotamento dovuto all’e-commerce e alla crisi del retail tradizionale, e devono necessariamente rinnovarsi per sopravvivere.

Anche qui, alcuni studi di cosiddetto “fiction design” hanno ipotizzato scenari futuri che fanno perno su nuovi servizi: alcuni estremamente individualizzati, come l'iper-personalizzazione di un'offerta resa possibile da profilazioni sempre più accurate dei clienti attraverso l’uso di big data sempre più “big”, modellati sul tracciamento dei consumi di ognuno e ritagliati ad hoc su un nostro ologramma; oppure si parla di espedienti mixed-use fortemente tecnologicizzati, come i Track-Mart. Esempi, questi, il cui impatto urbano è però tendenzialmente negativo per i rischi di enclave elitaria, da una parte, o di eccessivo dominio macchinistico, dall'altra. Più promettenti sono altri scenari: come quelli basati sui Mutable Markets, fatti di negozi pop-up e temporanei grazie a forniture d’arredo robotico e trasformabile; su possibili Indie Guild che sfruttano l’evoluzione delle stampanti 3d e la crescita d’interesse per l’autoproduzione e la vendita diretta; o sul concetto di Community Commons. Non a caso l'impatto urbano è qui ritenuto più positivo: per la possibile vitalità dei luoghi generati, in costante evoluzione e da scoprire attraverso i social media e il wayfinding digitale, per le loro basse barriere d'ingresso, per la costruzione e il mantenimento (con un'opportuna programmazione) di una piacevole e diversificata fruibilità collettiva. In altre parole, sono scenari inclusivi che hanno nel loro DNA un'aperta dimensione pubblica.

Dimensione pubblica e coinvolgimento urbano che anche i centri commerciali hanno e devono condividere. Ed è, questo aspettoun elemento di fondamentale importanza.

Cosa permette infatti di caratterizzare la qualità di una città? Certamente una prima componente sono i suoi spazi pubblici, o meglio, la vivibilità degli spazi pubblici. Alla base della creazione di valore nel Real Estate, soprattutto quando riferito ai luoghi del commercio, non c'è solo il volume costruito, risultato della mera operazione immobiliare, ma qualcosa di più “olistico” e apparentemente impalpabile: possiamo azzardarci a dire che è l’ottenimento della felicità delle persone che vivono gli spazi generati. In altre parole: il valore intrinseco del Real Estate è l'ambiente complessivo generato dalle sue operazioni, il quale, aldilà dei suoi confini spaziali, deve saper comunicare e diffondere “l’energia” in esso contenutaÈ questa energia che fa la differenza tra uno spazio fisico e un luogo. La composizione di questi luoghi genera la città, e possono dirsi a misura d’uomo solo se in grado di creare relazioni e scambi, fisici e non solo. Ovvero: soddisfazione e felicità dei fruitori.

È ovvio che in questo processo devono entrare con gran forza sia la realtà pubblica sia quella privata, poiché la qualità di una città non può essere demandata solo a una parte. Entrambi sono soggetti attivi e impegnati, ognuno con la propria responsabilità sociale ed economica, a garantire la creazione di quel valore che permette alle città, e di conseguenza all'intera società, di svilupparsi e progredire. In questa grande ambizione, gli spazi del Retail hanno un ruolo primario, siano essi grandi strutture concentrate o capillari diffusioni urbane.

E questo abbiamo cercato di raccontare nel libro Progettare il Retail: un racconto che si basa sulla nostra esperienza progettuale, ma anche un testo dallo sguardo generale e proiettato al futuro, con la consapevolezza che i luoghi del commercio sono sempre stati, e saranno ancora, i tasselli che nel loro insieme danno energia alla città e al nostro vivere insieme con gli altri: quindi, da progettare con cura.

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February 9, 2018
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