L’urgenza della città che verrà

Si è concluso lo scorso 23 ottobre il Conscious Cities Festival 2020 con l’incontro Energies’ Landscapes, un panel digitale organizzato da TUNED e Lombardini22 che ha visto coinvolte diverse provenienze disciplinari, come da nostra tradizione, per affrontare insieme il tema della città che verrà, o meglio della città che ci auguriamo possa davvero prendere forma in un futuro non troppo lontano, se solo sapessimo come, e comunque prima che sia troppo tardi.
Iniziare con tale incipit rende subito evidente quanto a muovere qualsiasi dibattito sulla città contemporanea sia oggi un sentimento di urgenza, e come questo sia particolarmente acuito in questo momento di rocambolesca sospensione dell’esistenza che la pandemia sta provocando.
Tanto da spingerci a ripensare la città, i nostri modelli insediativi, il rapporto con la campagna e la natura in relazione ai fondamentali: corpo, alimentazione, energia.
Questo il focus di Energies’ Landscapes, argomento che chiude il ciclo di incontri del Conscious Cities Festival con una certa e in qualche modo indispensabile circolarità.
Già nel primo evento di maggio, infatti, Davide Ruzzon – direttore TUNED, Milano e NAAD Master Iuav, Venezia – affermava:
“Per controllare il consumo esterno dobbiamo iniziare dal risparmio energetico del nostro corpo, e un buon progetto urbano che consideri prioritario il contatto con la natura è di grande aiuto”.
Ruzzon riparte da lì richiamando così il fatto che, se in condizioni di riposo un essere umano adulto consuma circa il 25% dell’energia corporea disponibile, la percentuale aumenta in modo più che proporzionale in condizioni di stress dovuto all’iper-artificialità della nostra condizione urbana: un sovraccarico sensoriale e cognitivo che richiede un iperconsumo di energia, prima, e di conseguenza un iperconsumo di cibo e risorse naturali, come compensazione.
E quale cibo?
Dagli anni 1950 ai 2000 il consumo di carne è passato da 45 a 233 milioni di tonnellate, solo in Cina l’incremento è stato da 13 a 53 kg per persona all’anno in un intervallo molto più breve, d’altra parte nei paesi sviluppati come l’Europa siamo ben piazzati su circa 80 kg. Circa il 60% della produzione di cereali è oggi destinato all’allevamento animale intensivo, l’incidenza globale sui gas climalteranti dei soli bovini è del 7%. Il paesaggio agrario è una diretta conseguenza di questo trend: il modello alimentare determina la forma del rapporto città/campagna (e viceversa, naturalmente).