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Il workplace che crea valore

Data Centers of the future are here

People go digital
14/7/2017
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I contenuti di seguito esposti sono stati trattati durante l'evento "Il workplace che crea valore. People go digital" condotto da Alessandro Adamopartner Lombardini22 - director DEGW, con la partecipazione di Maria Emanuela Salati, HR ATM, direttore della rivista Direzione del Personale e membro del Consiglio direttivo nazionale di Aidp (Associazione Italiana Direttori del Personale) e Andrea Benedetti, Director of Technical Evangelism di Microsoft Italia.

Scarica la versione PDF di questo articolo

*Guarda il video dell'evento "Il workplace che crea valore. People go digital" e le foto su Flickr*

Premessa

Cosa ci sarà dopo lo smart working? Come cambiano i luoghi di lavoro? Quali fattori sono importanti per accrescere motivazione, senso di appartenenza, energia all’interno di un’azienda?

Parafrasando un celebre assunto di Claude Lévi-Strauss, possiamo dire che il progettista non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è colui che pone le vere domande. Perché le risposte rischiano di essere limitate e soprattutto provvisorie. Le domande invece sono il vero motore della nostra attività: un uomo – un progettista, una società – che non si pone domande, o che si accontenta delle risposte più semplici, non affronta il futuro.

Dopo lo smart working

Ormai acquisito, compreso e sempre più adottato il modello flessibile dello smart working, è quindi ora di guardare avanti e porsi nuove sfide.

La relazione con le aziende, piccole e grandi, è sempre fertile, in fermento: fa emergere esigenze e curiosità sempre nuove. Noi progettisti le comprendiamo nel profondo e soprattutto le stimoliamo e le potenziamo, con occhio lungimirante e aperto al futuro.

Non a caso, il modello di consulenza di DEGW, basato sul dialogo e il confronto, è un approccio dinamico che coinvolge le persone dell’azienda in tutte le fasi progettuali in un processo di co-design che mette in rapporto spazio, tempo e organizzazione secondo un modello di progettualità relazionale dove gli strumenti di comunicazione, parallelamente ai servizi di progettazione, giocano un ruolo centrale e continuativo in una sorta di briefing permanente. Per questo è necessario un processo di ascolto dei desideri e delle esigenze: un ascolto ovviamente governato, capace di gestire le aspettative delle persone con razionalità, ma anche in grado di interpretarle con una visione al futuro, ipotizzando il nuovo e il non previsto.

Cambiamento sia, a patto che sia strategico (e condiviso)

Ogni cambiamento è un processo che nasce dall’interazione e dalla partecipazione delle persone che lo vivranno, intreccia intimamente la cultura dell’impresa e delle persone. DEGW coinvolge le persone nel cambiamento e le guida all’interno del nuovo habitat lavorativo, diffondendo le linee guida per un uso ottimale dei nuovi spazi. Consapevole che entusiasmo e ansia sono i due poli da gestire, il focus è sempre sul riconoscimento, la valorizzazione, lo sviluppo e la cura delle persone.

All’interno di un’organizzazione è necessario che ci sia una vision chiara sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con il cambiamento e sulle ragioni che lo rendono necessario. È fondamentale che sia molto chiaro e ben visibile l’impegno della direzione. Altrettanto importante è costruire un team interdisciplinare di progettisti e di analisti organizzativi, interni ed esterni all’azienda. È però fondamentale che il team sia coinvolto fin dall’inizio del processo, al fine di mettere consulenti e partner dell’iniziativa nelle condizioni migliori per sintetizzare le ragioni organizzative, gli obiettivi del cambiamento e le implicazioni spaziali in un complesso sistema di coerenza.

Il cambiamento deve evitare la percezione di una deprivazione soggettiva di ruolo, di potere o di riferimenti spaziali. Ovviamente, se l’innovazione è calata dall’alto rischia di innescare fenomeni di rigetto. Nel saggio Cuore, mente e corpo: i tre ingredienti del cambiamento Bruno Bara lo conferma: 

 "Le persone non possono essere costrette a cambiare, è importante che capiscano le motivazioni, il senso. Spiegare il cambiamento è dunque importante, ma ancora prima il manager deve mobilitare le risorse emotive. [...] Il rischio, in caso contrario, è l’inefficacia” (p. 86, Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale a cura di Salati Maria Emanuela e Leoni Attilio. Prefazione di Pier Luigi Celli, 2015, Guerini Next). 

“Le persone entrano in una dimensione che le fa sentire inadeguate: da qui nascono spesso gli ostacoli alla fluidità, in altri termini la mancata sintonia del singolo a cambiare insieme all’organizzazione. C’è quindi una resistenza a livello emotivo”. (p. 85, Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale

Change Management

Per la comprensione e il coinvolgimento, uno strumento significativo che viene utilizzato per i processi di cambiamento è il Workplace Change Management. L’obiettivo è aiutare le persone a lavorare meglio nei nuovi spazi che si troveranno a utilizzare, anche stimolando e rafforzando il loro senso di appartenenza.

Lavorare in modo partecipativo e interattivo alla progettazione architettonica in senso stretto è una delle strategie che viene adottata. È importante coinvolgere nel processo l’azienda, l’utente finale, ma individuando e responsabilizzando sponsor del cambiamento (change agent) con modalità innovative e aggiornamenti costanti: il sito dedicato al progetto, i sondaggi su alcune scelte estetiche e di finitura, le web-cam che monitorano i lavori. È una continuità stimolante che tiene alta l’attenzione e rende davvero partecipi dei processi.

Infine, al termine del progetto è importante gestire il move-in, con eventi di ringraziamento dei team di progetto e un accompagnamento caloroso verso i nuovi spazi. Il cambiamento significa aprire nuovi percorsi di senso. La consulenza, la progettazione si svolgono secondo un processo olistico, attento soprattutto alle persone che occupano gli spazi.

La resistenza al cambiamento è una condizione connaturata alla meccanica del cervello. Ma ciò, d’altra parte, è essenziale alla creazione della propria identità.

Pier Luigi Celli, imprenditore e manager di azienda con esperienze in realtà come ENI, RAI, Olivetti, Enel, Poste Italiane, si chiede:

“Che colore hanno le emozioni in ambienti in cui solo la dimensione quantitativa sembra avere valore?” (Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale, pag. 10)"

 

Neuroscienza applicata all'architettura

Il fattore emozionale è centrale. Lo stiamo imparando ogni giorno attraverso alla nostra esperienza e grazie all’apporto prezioso delle neuroscienze. Ora sappiamo che lo spazio influenza le persone, le dinamiche interpersonali e il clima aziendale ma anche le performance emotive e celebrali. Un tema ancora tutto da scoprire e approfondire e rendere tangibile nei progetti del futuro.

Più del 90% di ciò che oggi conosciamo sul funzionamento del nostro cervello è stato scoperto negli ultimi quindici anni, a volte, tra l’altro, proprio da scienziati italiani: si tratta di scoperte straordinarie eppure pressoché sconosciute al di fuori delle università. Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione ma il mondo delle imprese, chiuso almeno quanto quello delle università e dei centri di ricerca, si sta dimostrando poco permeabile al nuovo. La conoscenza dei meccanismi di funzionamento del nostro cervello sarà fondamentale nel prossimo futuro delle organizzazioni e chi sarà capace di mettere a frutto, eticamente, queste informazioni potrà creare migliori condizioni di lavoro e ottenere più risultati con persone più motivate e consapevoli.

Le scoperte neuroscientifiche gettano nuova luce su tanti e diversi aspetti dell’attività manageriale: dalle gestione delle persone al decision making, dalla gestione del cambiamento alla leadership, dall’age management alla gestione della complessità sino al marketing passando addirittura per il mondo della finanza.

Sono sempre tre le dimensioni che dovrebbero essere presidiate in ogni processo di cambiamento:

 

  • dimensione cognitiva. Spesso, le aziende presidiano solo questa dimensione, azzerando il processo con una comunicazione unidirezionale, semplice e semplicistica.
  • dimensione emotiva, che va a studiare quale rielaborazione sarà necessaria prima, durante e dopo il cambiamento e come gestire le possibili (e naturali) risposte. Nel peggiore dei casi, paure, incertezze, inadeguatezza.
  • dimensione corporea. È molto importante perché il corpo è lo strutturatore dell’apprendimento: se non c’è coinvolgimento del corpo sarà necessario un tempo più lungo per rielaborare il cambiamento e attivare i comportamenti adeguati. Quest’ultima è la dimensione meno considerata dalle organizzazioni

 

Tecnologia dal volto umano

L’importanza della tecnologia è sempre più evidente e pervasiva nella “realtà mista” in cui viviamo, in cui i confini tra mondo reale e mondo virtuale sono sempre più labili. Nel mondo del lavoro tecnologia fa rima con connettività.

La tecnologia può migliorare il lavoro e supportare le persone. Regala libertà nuove: quella di scegliere il luogo che dà più energia, più ricchezza, quella di valutare il momento di maggior efficienza del proprio flusso lavorativo, giorno, notte, feriali o festivi che siano. Di conseguenza, il tema base da questo punto di vista è la responsabilità del singolo, basata su un rapporto di fiducia che va alimentato con costanza.

La necessità per la realizzazione personale e per la qualità del lavoro è avere chiari gli obiettivi in una gestione pulita e onesta delle proprie agenda, vita professionale e vita privata in una vera e proficua autoresponsabilizzazione di attività e obiettivi. A guadagnarne è sicuramente è il work-life balance. 

Nell’ecosistema della società per cui si lavora, in un gioco come questo, ci si autoesclude se si fa il furbo.

Una percezione che lentamente sta riuscendo a farsi strada tra imprenditori e manager è che quando le persone vengono lasciate più libere nasce quasi un senso di maggior responsabilità, una maggior attenzione a raggiungere una performance migliore. Lo spostamento dal concetto di quantità a quello di qualità sembra quindi emergere grazie a un uso intelligente dei nuovi strumenti lavorativi. A patto, che la nuova libertà non si traduca in autoreferenzialità, individualismo, frammentazione e spaesamento rispetto alle dinamiche collettive delle organizzazioni.

 La tecnologia regala scenari impensabili fino a poco fa. Più la tecnologia avanza, più l’umanità prevale. Sembrerà un paradosso, ma la tecnologia sfrutta le capacità naturali che abbiamo (in primis, la voce e i gesti). Domani, infatti, la tecnologia scomparirà per come oggi la conosciamo. Non ci saranno più pulsanti, mouse, bottoni da schiacciare. Domani interagiremo attraverso i gesti che ci sono più familiari, stiamo andando verso le interfaccia naturali.

Già oggi, con alcuni device non è più necessario digitare la propria password: è il riconoscimento facciale dell’individuo compiuto dal computer ad accenderlo, grazie a una tecnologia cifrata, sicura e per noi quasi magica e misteriosa.  Gli strumenti tecnologici infatti sono in grado di comprendere l’ambiente, prendere decisioni e comportarsi di conseguenza.

Per conciliare persone, strumenti, obiettivi, ciò che rimane (o dovrebbe rimanere) costante è la cura delle persone,  mantenendo un tasso di conversazione elevato all’interno delle aziende. Ne deriva una precisa necessità spaziale: quella di avere e creare molti luoghi fisici per confrontarsi. poter disporre di aule e spazi per condividere aiuta a far evolvere l’azienda.

Spazio di incontro tra tecnologia, persone e generazioni

Il workplace è il luogo dove mixare, con equilibrio e rispetto, fattori cruciali come tecnologia, contaminazione, fluidità, benessere, dinamicità, densità di relazioni: in pratica, lo spirito dei tempi tradotto in progetto. Il workplace comunica la cultura dell’azienda, rappresenta il luogo simbolico per eccellenza, riconoscibile come proprio da tutti coloro che appartengono all’impresa.

In questo senso è interessante notare che alcune richieste delle aziende rispecchiano i grandi temi che l’intera società è chiamata ad affrontare. Un esempio su tutti: il tema della convivenza tra generazioni. Ovvero come valorizzare l’esperienza dei ‘senior’, renderla smart, affinché diventi una vera leadership riconosciuta dall’intera azienda, in un’ottica di positiva, utile, ed efficace integrazione generazionale. Il rapporto tra le generazioni è un tema sfidante che potrebbe essere agevolato da tecnologie e spazi adeguati. Non ci sono ricette univoche di gestione degli spazi e soprattutto delle persone. Esistono molti modi di essere smart. Uno fondamentale è far dialogare le generazioni per attrarre giovani talenti e stimolare l’integrazione generazionale.

L'esempio di ATM

ATM è un’azienda interessante per analizzare il tema cross-generazionale e in particolare dell’aged managment. L’età media elevata (46 anni) dei dipendenti, tra l’altro impegnati in attività che richiedono un impegno fisico importante, e destinati a lavorare fino ad almeno i 67 anni. È strategico, quindi, se non vitale, chiedersi come organizzare questo nuovo – ed assolutamente inedito – ciclo di lavoro. Questo è uno dei compiti, sicuramente uno dei più sfidanti, delle risorse umane. ATM, a questo proposito, ha attivato moltissime azioni, che riguardano la salute delle persone, e una nuova valorizzazione di conoscenze e competenze, ormai ritenute obsolete. Anche attraverso il mentoring, la relazione in cui una persona con seniority professionale elevata si mette a disposizione di un’altra più junior per aiutarla a trovare la propria strada verso la maturità in quella determinata area.

Una delle soluzione adottate è quella di ripensare e di rimodellare l’incrocio generazionale tramite il reverse mentoning (es giovani fanno da mentor su tecnologia agli anziani), in uno scambio reciproco, coinvolgente e integrato.

Il mentor spiega, fa riflettere, fa in modo che le esperienze siano fonte di apprendimento, aiuta a districare le novità del ruolo e a interpretarne le regole. Lo fa avvalendosi della sua esperienza specifica, e in questo si differenzia dal coach. Punta sulla crescita professionale, e in questo si differenzia dal capo. Insegna a stare nell’organizzazione, e in questo si differenzia dal professore di quella materia.

Esiste anche il mentoring a due: due amici – o due colleghi – possono collaborare osservandosi, suggerendo esercizi, monitorando i progressi, tirando fuori dall’altro il meglio.
Per evitare di disperdere energie o addirittura demotivarsi, occorre avere metodo, darsi regole e ognuno un obiettivo specifico in termini di comportamento osservabile o conoscenza verificabile. Una componente importante è definire un piano realistico di esercizi, studi, esperimenti, osservazioni finalizzati al conseguimento dell’obiettivo.

Un nuovo strumento per il consolidamento delle competenze manageriali è il peer coaching, che si svolge tra ‘pari’. Si tratta di un coaching basato sul metodo e non sul contenuto, per tenere alta la motivazione del compagno e accompagnarlo all’obiettivo, che agisce come rinforzo su un percorso di miglioramento reciproco.

L’obiettivo di base è la crescita personale e professionale, da condividere con i colleghi.

In generale, il mentore non insegna, spiega. Esprime una valutazione solo per favorire lo sviluppo. Finalizza le esperienze in un disegno più ampio, mettendole in prospettiva. Contribuisce a motivare. Aiuta a tentare altre strade, o ritrovare qualcosa che si è perduto. Fa vedere ciò che è possibile, le potenzialità di realizzazione. Impedisce che vada perso qualcosa di importante, che sia dono, talento, esperienza, tempo.

L’ufficio ideale è, infatti, un luogo di cultura, scambio, confronto tra competenze ed esperienze.

Lo spazio per cambiare

Progetti di workplace basati sull’open space, anche per il top managment, rappresentano un messaggio chiaro.

Sono già una realtà come la sede di Coca-Cola a Milano, dove i dirigenti, compreso il general manager, sono collocati in open space come gli altri dipendenti e l’HQ di Prysmian. L’abbattimento delle gerarchie è un modo concreto e simbolico insieme di democratizzare lo spazio e dare valore all’essenza delle persone.

La sede di Coca Cola a Sesto S.Giovanni, Milano

L’allocazione e la progettazione degli spazi deve basarsi sui bisogni e non sulla gerarchia aziendale.

Lo spazio della smart leadership si diluisce in un ambiente lavorativo generalizzato, e usa gli stessi spazi a disposizione degli altri membri dell’organizzazione. È su questo sistema che deve innestarsi lo spazio di relazione: è un altro registro che dev’essere capace di declinare nuovi gradienti di prossimità (fisica e virtuale) nel rapporto tra le persone, con l’obiettivo è creare e cementare la comunità, intergenerazionale e polifunzionale.

La nuova sede di Prysmian a Milano‍

La sfida è aperta

Il futuro che stiamo progettando mette in luce alcuni valori che non cambiano, profondamente legati all’interiorità dell’uomo, come le necessità di comunicare e di sentirsi parte integrante di una organizzazione, di sentirsi connessi al mondo che cambia, di lavorare in spazi accoglienti dal punto di vista del benessere ambientale: illuminazione, acustica, climatizzazione. Valori che, insieme alle nuove tecnologie e a un’innovazione intelligente e ben calibrata, migliorano le relazioni tra le persone e accrescono motivazione, senso di appartenenza, energia. Ottimizzare il rapporto tra le persone e i luoghi fisici migliora le prestazioni delle organizzazioni e dei singoli. In altre parole: People, Place, Performance.

L’ambizione di DEGW è quella di far stare bene le persone. Lo fa valorizzando la cultura del workplace, cui diamo vita quotidianamente con la comprensione, l’approfondimento, l’ascolto, la sperimentazione, il servizio. La sfida è aperta.

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July 14, 2017
Attualità
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July 14, 2017

Il workplace che crea valore

Cosa ci sarà dopo lo smart working? Come cambiano i luoghi di lavoro? Quali fattori sono importanti per accrescere motivazione, senso di appartenenza, energia all’interno di un’azienda?
Cosa ci sarà dopo lo smart working? Come cambiano i luoghi di lavoro? Quali fattori sono importanti per accrescere motivazione, senso di appartenenza, energia all’interno di un’azienda?

I contenuti di seguito esposti sono stati trattati durante l'evento "Il workplace che crea valore. People go digital" condotto da Alessandro Adamopartner Lombardini22 - director DEGW, con la partecipazione di Maria Emanuela Salati, HR ATM, direttore della rivista Direzione del Personale e membro del Consiglio direttivo nazionale di Aidp (Associazione Italiana Direttori del Personale) e Andrea Benedetti, Director of Technical Evangelism di Microsoft Italia.

Scarica la versione PDF di questo articolo

*Guarda il video dell'evento "Il workplace che crea valore. People go digital" e le foto su Flickr*

Premessa

Cosa ci sarà dopo lo smart working? Come cambiano i luoghi di lavoro? Quali fattori sono importanti per accrescere motivazione, senso di appartenenza, energia all’interno di un’azienda?

Parafrasando un celebre assunto di Claude Lévi-Strauss, possiamo dire che il progettista non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è colui che pone le vere domande. Perché le risposte rischiano di essere limitate e soprattutto provvisorie. Le domande invece sono il vero motore della nostra attività: un uomo – un progettista, una società – che non si pone domande, o che si accontenta delle risposte più semplici, non affronta il futuro.

Dopo lo smart working

Ormai acquisito, compreso e sempre più adottato il modello flessibile dello smart working, è quindi ora di guardare avanti e porsi nuove sfide.

La relazione con le aziende, piccole e grandi, è sempre fertile, in fermento: fa emergere esigenze e curiosità sempre nuove. Noi progettisti le comprendiamo nel profondo e soprattutto le stimoliamo e le potenziamo, con occhio lungimirante e aperto al futuro.

Non a caso, il modello di consulenza di DEGW, basato sul dialogo e il confronto, è un approccio dinamico che coinvolge le persone dell’azienda in tutte le fasi progettuali in un processo di co-design che mette in rapporto spazio, tempo e organizzazione secondo un modello di progettualità relazionale dove gli strumenti di comunicazione, parallelamente ai servizi di progettazione, giocano un ruolo centrale e continuativo in una sorta di briefing permanente. Per questo è necessario un processo di ascolto dei desideri e delle esigenze: un ascolto ovviamente governato, capace di gestire le aspettative delle persone con razionalità, ma anche in grado di interpretarle con una visione al futuro, ipotizzando il nuovo e il non previsto.

Cambiamento sia, a patto che sia strategico (e condiviso)

Ogni cambiamento è un processo che nasce dall’interazione e dalla partecipazione delle persone che lo vivranno, intreccia intimamente la cultura dell’impresa e delle persone. DEGW coinvolge le persone nel cambiamento e le guida all’interno del nuovo habitat lavorativo, diffondendo le linee guida per un uso ottimale dei nuovi spazi. Consapevole che entusiasmo e ansia sono i due poli da gestire, il focus è sempre sul riconoscimento, la valorizzazione, lo sviluppo e la cura delle persone.

All’interno di un’organizzazione è necessario che ci sia una vision chiara sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con il cambiamento e sulle ragioni che lo rendono necessario. È fondamentale che sia molto chiaro e ben visibile l’impegno della direzione. Altrettanto importante è costruire un team interdisciplinare di progettisti e di analisti organizzativi, interni ed esterni all’azienda. È però fondamentale che il team sia coinvolto fin dall’inizio del processo, al fine di mettere consulenti e partner dell’iniziativa nelle condizioni migliori per sintetizzare le ragioni organizzative, gli obiettivi del cambiamento e le implicazioni spaziali in un complesso sistema di coerenza.

Il cambiamento deve evitare la percezione di una deprivazione soggettiva di ruolo, di potere o di riferimenti spaziali. Ovviamente, se l’innovazione è calata dall’alto rischia di innescare fenomeni di rigetto. Nel saggio Cuore, mente e corpo: i tre ingredienti del cambiamento Bruno Bara lo conferma: 

 "Le persone non possono essere costrette a cambiare, è importante che capiscano le motivazioni, il senso. Spiegare il cambiamento è dunque importante, ma ancora prima il manager deve mobilitare le risorse emotive. [...] Il rischio, in caso contrario, è l’inefficacia” (p. 86, Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale a cura di Salati Maria Emanuela e Leoni Attilio. Prefazione di Pier Luigi Celli, 2015, Guerini Next). 

“Le persone entrano in una dimensione che le fa sentire inadeguate: da qui nascono spesso gli ostacoli alla fluidità, in altri termini la mancata sintonia del singolo a cambiare insieme all’organizzazione. C’è quindi una resistenza a livello emotivo”. (p. 85, Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale

Change Management

Per la comprensione e il coinvolgimento, uno strumento significativo che viene utilizzato per i processi di cambiamento è il Workplace Change Management. L’obiettivo è aiutare le persone a lavorare meglio nei nuovi spazi che si troveranno a utilizzare, anche stimolando e rafforzando il loro senso di appartenenza.

Lavorare in modo partecipativo e interattivo alla progettazione architettonica in senso stretto è una delle strategie che viene adottata. È importante coinvolgere nel processo l’azienda, l’utente finale, ma individuando e responsabilizzando sponsor del cambiamento (change agent) con modalità innovative e aggiornamenti costanti: il sito dedicato al progetto, i sondaggi su alcune scelte estetiche e di finitura, le web-cam che monitorano i lavori. È una continuità stimolante che tiene alta l’attenzione e rende davvero partecipi dei processi.

Infine, al termine del progetto è importante gestire il move-in, con eventi di ringraziamento dei team di progetto e un accompagnamento caloroso verso i nuovi spazi. Il cambiamento significa aprire nuovi percorsi di senso. La consulenza, la progettazione si svolgono secondo un processo olistico, attento soprattutto alle persone che occupano gli spazi.

La resistenza al cambiamento è una condizione connaturata alla meccanica del cervello. Ma ciò, d’altra parte, è essenziale alla creazione della propria identità.

Pier Luigi Celli, imprenditore e manager di azienda con esperienze in realtà come ENI, RAI, Olivetti, Enel, Poste Italiane, si chiede:

“Che colore hanno le emozioni in ambienti in cui solo la dimensione quantitativa sembra avere valore?” (Neuroscienze e management. Nuovi strumenti per la professione manageriale, pag. 10)"

 

Neuroscienza applicata all'architettura

Il fattore emozionale è centrale. Lo stiamo imparando ogni giorno attraverso alla nostra esperienza e grazie all’apporto prezioso delle neuroscienze. Ora sappiamo che lo spazio influenza le persone, le dinamiche interpersonali e il clima aziendale ma anche le performance emotive e celebrali. Un tema ancora tutto da scoprire e approfondire e rendere tangibile nei progetti del futuro.

Più del 90% di ciò che oggi conosciamo sul funzionamento del nostro cervello è stato scoperto negli ultimi quindici anni, a volte, tra l’altro, proprio da scienziati italiani: si tratta di scoperte straordinarie eppure pressoché sconosciute al di fuori delle università. Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione ma il mondo delle imprese, chiuso almeno quanto quello delle università e dei centri di ricerca, si sta dimostrando poco permeabile al nuovo. La conoscenza dei meccanismi di funzionamento del nostro cervello sarà fondamentale nel prossimo futuro delle organizzazioni e chi sarà capace di mettere a frutto, eticamente, queste informazioni potrà creare migliori condizioni di lavoro e ottenere più risultati con persone più motivate e consapevoli.

Le scoperte neuroscientifiche gettano nuova luce su tanti e diversi aspetti dell’attività manageriale: dalle gestione delle persone al decision making, dalla gestione del cambiamento alla leadership, dall’age management alla gestione della complessità sino al marketing passando addirittura per il mondo della finanza.

Sono sempre tre le dimensioni che dovrebbero essere presidiate in ogni processo di cambiamento:

 

  • dimensione cognitiva. Spesso, le aziende presidiano solo questa dimensione, azzerando il processo con una comunicazione unidirezionale, semplice e semplicistica.
  • dimensione emotiva, che va a studiare quale rielaborazione sarà necessaria prima, durante e dopo il cambiamento e come gestire le possibili (e naturali) risposte. Nel peggiore dei casi, paure, incertezze, inadeguatezza.
  • dimensione corporea. È molto importante perché il corpo è lo strutturatore dell’apprendimento: se non c’è coinvolgimento del corpo sarà necessario un tempo più lungo per rielaborare il cambiamento e attivare i comportamenti adeguati. Quest’ultima è la dimensione meno considerata dalle organizzazioni

 

Tecnologia dal volto umano

L’importanza della tecnologia è sempre più evidente e pervasiva nella “realtà mista” in cui viviamo, in cui i confini tra mondo reale e mondo virtuale sono sempre più labili. Nel mondo del lavoro tecnologia fa rima con connettività.

La tecnologia può migliorare il lavoro e supportare le persone. Regala libertà nuove: quella di scegliere il luogo che dà più energia, più ricchezza, quella di valutare il momento di maggior efficienza del proprio flusso lavorativo, giorno, notte, feriali o festivi che siano. Di conseguenza, il tema base da questo punto di vista è la responsabilità del singolo, basata su un rapporto di fiducia che va alimentato con costanza.

La necessità per la realizzazione personale e per la qualità del lavoro è avere chiari gli obiettivi in una gestione pulita e onesta delle proprie agenda, vita professionale e vita privata in una vera e proficua autoresponsabilizzazione di attività e obiettivi. A guadagnarne è sicuramente è il work-life balance. 

Nell’ecosistema della società per cui si lavora, in un gioco come questo, ci si autoesclude se si fa il furbo.

Una percezione che lentamente sta riuscendo a farsi strada tra imprenditori e manager è che quando le persone vengono lasciate più libere nasce quasi un senso di maggior responsabilità, una maggior attenzione a raggiungere una performance migliore. Lo spostamento dal concetto di quantità a quello di qualità sembra quindi emergere grazie a un uso intelligente dei nuovi strumenti lavorativi. A patto, che la nuova libertà non si traduca in autoreferenzialità, individualismo, frammentazione e spaesamento rispetto alle dinamiche collettive delle organizzazioni.

 La tecnologia regala scenari impensabili fino a poco fa. Più la tecnologia avanza, più l’umanità prevale. Sembrerà un paradosso, ma la tecnologia sfrutta le capacità naturali che abbiamo (in primis, la voce e i gesti). Domani, infatti, la tecnologia scomparirà per come oggi la conosciamo. Non ci saranno più pulsanti, mouse, bottoni da schiacciare. Domani interagiremo attraverso i gesti che ci sono più familiari, stiamo andando verso le interfaccia naturali.

Già oggi, con alcuni device non è più necessario digitare la propria password: è il riconoscimento facciale dell’individuo compiuto dal computer ad accenderlo, grazie a una tecnologia cifrata, sicura e per noi quasi magica e misteriosa.  Gli strumenti tecnologici infatti sono in grado di comprendere l’ambiente, prendere decisioni e comportarsi di conseguenza.

Per conciliare persone, strumenti, obiettivi, ciò che rimane (o dovrebbe rimanere) costante è la cura delle persone,  mantenendo un tasso di conversazione elevato all’interno delle aziende. Ne deriva una precisa necessità spaziale: quella di avere e creare molti luoghi fisici per confrontarsi. poter disporre di aule e spazi per condividere aiuta a far evolvere l’azienda.

Spazio di incontro tra tecnologia, persone e generazioni

Il workplace è il luogo dove mixare, con equilibrio e rispetto, fattori cruciali come tecnologia, contaminazione, fluidità, benessere, dinamicità, densità di relazioni: in pratica, lo spirito dei tempi tradotto in progetto. Il workplace comunica la cultura dell’azienda, rappresenta il luogo simbolico per eccellenza, riconoscibile come proprio da tutti coloro che appartengono all’impresa.

In questo senso è interessante notare che alcune richieste delle aziende rispecchiano i grandi temi che l’intera società è chiamata ad affrontare. Un esempio su tutti: il tema della convivenza tra generazioni. Ovvero come valorizzare l’esperienza dei ‘senior’, renderla smart, affinché diventi una vera leadership riconosciuta dall’intera azienda, in un’ottica di positiva, utile, ed efficace integrazione generazionale. Il rapporto tra le generazioni è un tema sfidante che potrebbe essere agevolato da tecnologie e spazi adeguati. Non ci sono ricette univoche di gestione degli spazi e soprattutto delle persone. Esistono molti modi di essere smart. Uno fondamentale è far dialogare le generazioni per attrarre giovani talenti e stimolare l’integrazione generazionale.

L'esempio di ATM

ATM è un’azienda interessante per analizzare il tema cross-generazionale e in particolare dell’aged managment. L’età media elevata (46 anni) dei dipendenti, tra l’altro impegnati in attività che richiedono un impegno fisico importante, e destinati a lavorare fino ad almeno i 67 anni. È strategico, quindi, se non vitale, chiedersi come organizzare questo nuovo – ed assolutamente inedito – ciclo di lavoro. Questo è uno dei compiti, sicuramente uno dei più sfidanti, delle risorse umane. ATM, a questo proposito, ha attivato moltissime azioni, che riguardano la salute delle persone, e una nuova valorizzazione di conoscenze e competenze, ormai ritenute obsolete. Anche attraverso il mentoring, la relazione in cui una persona con seniority professionale elevata si mette a disposizione di un’altra più junior per aiutarla a trovare la propria strada verso la maturità in quella determinata area.

Una delle soluzione adottate è quella di ripensare e di rimodellare l’incrocio generazionale tramite il reverse mentoning (es giovani fanno da mentor su tecnologia agli anziani), in uno scambio reciproco, coinvolgente e integrato.

Il mentor spiega, fa riflettere, fa in modo che le esperienze siano fonte di apprendimento, aiuta a districare le novità del ruolo e a interpretarne le regole. Lo fa avvalendosi della sua esperienza specifica, e in questo si differenzia dal coach. Punta sulla crescita professionale, e in questo si differenzia dal capo. Insegna a stare nell’organizzazione, e in questo si differenzia dal professore di quella materia.

Esiste anche il mentoring a due: due amici – o due colleghi – possono collaborare osservandosi, suggerendo esercizi, monitorando i progressi, tirando fuori dall’altro il meglio.
Per evitare di disperdere energie o addirittura demotivarsi, occorre avere metodo, darsi regole e ognuno un obiettivo specifico in termini di comportamento osservabile o conoscenza verificabile. Una componente importante è definire un piano realistico di esercizi, studi, esperimenti, osservazioni finalizzati al conseguimento dell’obiettivo.

Un nuovo strumento per il consolidamento delle competenze manageriali è il peer coaching, che si svolge tra ‘pari’. Si tratta di un coaching basato sul metodo e non sul contenuto, per tenere alta la motivazione del compagno e accompagnarlo all’obiettivo, che agisce come rinforzo su un percorso di miglioramento reciproco.

L’obiettivo di base è la crescita personale e professionale, da condividere con i colleghi.

In generale, il mentore non insegna, spiega. Esprime una valutazione solo per favorire lo sviluppo. Finalizza le esperienze in un disegno più ampio, mettendole in prospettiva. Contribuisce a motivare. Aiuta a tentare altre strade, o ritrovare qualcosa che si è perduto. Fa vedere ciò che è possibile, le potenzialità di realizzazione. Impedisce che vada perso qualcosa di importante, che sia dono, talento, esperienza, tempo.

L’ufficio ideale è, infatti, un luogo di cultura, scambio, confronto tra competenze ed esperienze.

Lo spazio per cambiare

Progetti di workplace basati sull’open space, anche per il top managment, rappresentano un messaggio chiaro.

Sono già una realtà come la sede di Coca-Cola a Milano, dove i dirigenti, compreso il general manager, sono collocati in open space come gli altri dipendenti e l’HQ di Prysmian. L’abbattimento delle gerarchie è un modo concreto e simbolico insieme di democratizzare lo spazio e dare valore all’essenza delle persone.

La sede di Coca Cola a Sesto S.Giovanni, Milano

L’allocazione e la progettazione degli spazi deve basarsi sui bisogni e non sulla gerarchia aziendale.

Lo spazio della smart leadership si diluisce in un ambiente lavorativo generalizzato, e usa gli stessi spazi a disposizione degli altri membri dell’organizzazione. È su questo sistema che deve innestarsi lo spazio di relazione: è un altro registro che dev’essere capace di declinare nuovi gradienti di prossimità (fisica e virtuale) nel rapporto tra le persone, con l’obiettivo è creare e cementare la comunità, intergenerazionale e polifunzionale.

La nuova sede di Prysmian a Milano‍

La sfida è aperta

Il futuro che stiamo progettando mette in luce alcuni valori che non cambiano, profondamente legati all’interiorità dell’uomo, come le necessità di comunicare e di sentirsi parte integrante di una organizzazione, di sentirsi connessi al mondo che cambia, di lavorare in spazi accoglienti dal punto di vista del benessere ambientale: illuminazione, acustica, climatizzazione. Valori che, insieme alle nuove tecnologie e a un’innovazione intelligente e ben calibrata, migliorano le relazioni tra le persone e accrescono motivazione, senso di appartenenza, energia. Ottimizzare il rapporto tra le persone e i luoghi fisici migliora le prestazioni delle organizzazioni e dei singoli. In altre parole: People, Place, Performance.

L’ambizione di DEGW è quella di far stare bene le persone. Lo fa valorizzando la cultura del workplace, cui diamo vita quotidianamente con la comprensione, l’approfondimento, l’ascolto, la sperimentazione, il servizio. La sfida è aperta.

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July 14, 2017
Attualità
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