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Il lusso e la sensorialità

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L'evoluzione del marketing sensoriale
10/4/2019
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“Alcune persone pensano che il lusso sia l'opposto della povertà. Non lo è. È l'opposto della volgarità”.

Prendendo spunto da questa frase di Coco Chanel, possiamo dire che un hotel, per essere definito di lusso, debba rifuggire la volgarità e tutti i suoi sinonimi: grossolanità, pacchianeria, sguaiataggine dell’ambiente,ma anche inciviltà, scortesia, maleducazione dei comportamenti; e quindi essere composto, elegante, nobile, anche morale, senz’altro di qualità, di classe, di gusto. Ecco, il gusto, ma quale? Senz’altro ciò che si dice “buon gusto”, ma è un concetto sfuggente e rischioso. Allora il gusto dei clienti, quelli cui ci si vuole rivolgere, ovviamente. In altre parole, se lusso è ciò che il cliente avverte come tale, ciò che il soggetto è in grado di percepire sia per dotazione biologica sia per improvement biografico, la conoscenza dei propri clienti è il primo atto fondamentale per determinare gli standard di qualità ottimali che si vogliono offrire per soddisfare tutte le esigenze degli ospiti.

Anche se standard non è il termine migliore. Se con il Decreto Legge del 21 ottobre 2008 sono state definite le caratteristiche che identificano gli standard minimi delle categorie di hotel valide su tutto il territorio nazionale, è una qualità esterna a qualsiasi standard che ha un’importanza sempre più determinante: la connessione emotiva e il progetto sensoriale.

Richiamare la necessità di comprendere le esigenze, i gusti,i comportamenti degli utenti – e possiamo farlo anche attraverso un’analisi etno semiotica che ci permette di studiare le condotte non verbali (gestuali,rituali, cerimoniali) trattate come segni linguistici di una comunità culturale al fine di capire quale “valore di senso” abbiano le pratiche quotidiane per i suoi membri – vuol dire leggere tali comportamenti come significanti di un significato.

“Si è vero, ho una BMW ma solo perché BMW stà per Bob Marleyand the Wailers e non perché mi piacciono le automobili di lusso”, diceva il re indiscusso del reggae.

Poi tale significato deve essere tradotto in attese emotive. Connettersi con le attese emotive del gruppo analizzato permetterà, per ogni pratica o ‘rituale’ sviluppato nell’uso dello spazio hotel, di articolare una risposta sensoriale. E la risposta non può che essere complessa.

Gli hotel, certo, possono rafforzare l’esperienza vissuta dai propri clienti affiancando alla razionalità che ha determinato la loro scelta piccoli dettagli che agiscono sui sensi. Molte catene alberghiere utilizzano l’olfatto per stimolare le sensazioni dei propri ospiti, attivando ricordi ed emozioni positivi: alcune, come Holiday Inn, con un profumo uguale in tutte le strutture al fine di creare una coerente identità olfattiva comune in tutto il mondo; altre, come il Ritz-Carlton, con profumi differenti per diverse aree geografiche. Gli Hard Rock Hotel si affidano al suono, chiedendo ai propri ospiti di compilare un format in cui indicare il proprio genere musicale e i brani preferiti, di cui sarà attivata la riproduzione al momento d’ingresso incamera. Poi il gusto: DoubleTree by Hilton offre a tutti i suoi ospiti un caldo biscotto con scaglie di cioccolato per trasmettere una sensazione di cura e calore nei loro confronti; altri offrono stuzzichini durante l’Happy hour o un bicchiere di vino all’arrivo. E ovviamente il tatto, che “leggiamo” con la vista oltre che con il contatto fisico, ed esperiamo nei materiali, nelle finiture, nei tessuti che compongono gli arredi, e che dovranno trasmettere la sensazione di comfort e lusso.

Ma la risposta non può che essere più complessa di tali espedienti: deve cioè utilizzare tutta la stratificazione di ‘segni’ (per restare alla semiotica) che compongono l’architettura, e tutta la dimensione sensori-motoria (per dirla con la neuroscienza) dell’esperienza che ne facciamo. Quindi, non solo essenze, materiali, suoni, ma l’integrazione di tutta la complessità: la dinamica delle sequenze spaziali, le sezioni, la scala, la forma geometrica e il ritmo, la luce e così via.

Non si tratta, cioè, di Marketing sensoriale, che tradirebbe troppo evidentemente l’uso strumentale delle scienze umane.

Si può pensare che un hotel sia di fatto un set cinematografico, dove l’architetto costruisce la scenografia per mettere inscena la ‘vita che vorrei’. Il viaggio, per lavoro o per turismo, è una pausa dal proprio reale, anche per i business travelers, perché apre sempre una possibilità. Lo spazio dell’albergo incarna quella possibilità, quell’attesa.

La pratica e i rituali da trasformare in forma architettonica, quindi, non dovrebbero essere quelli quotidiani, quelli reali,quanto piuttosto quelli immaginari. La percezione dello scenario dell’hotel,attraverso l’integrazione dei sensi, dovrebbe perciò innescare l’emersione dell’identità del gruppo “profilato”. Il lusso potrebbe allora consistere, piuttosto che nell’opposto della volgarità, nell’opposto di un film scritto male, senza sceneggiatura né soggetto. Dove esiste una storia coerente, esiste una sapiente corrispondenza, una concinnitas avrebbe detto Alberti, tra tutti gli elementi in gioco, tra tutti i livelli sensoriali agiti attraverso l’immersione del corpo umano in movimento nello spazio.

È la ricerca di questa armonia orchestrale che deve guidare l’ingresso della dimensione sensoriale nel progetto, pena la riduzione dei sensi a strumento d’inganno, come avrebbe detto Platone.  

Scarica il Position Paper in versione PDF

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

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April 10, 2019
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April 10, 2019

Il lusso e la sensorialità

“Alcune persone pensano che il lusso sia l'opposto della povertà. Non lo è. È l'opposto della volgarità”.

Prendendo spunto da questa frase di Coco Chanel, possiamo dire che un hotel, per essere definito di lusso, debba rifuggire la volgarità e tutti i suoi sinonimi: grossolanità, pacchianeria, sguaiataggine dell’ambiente,ma anche inciviltà, scortesia, maleducazione dei comportamenti; e quindi essere composto, elegante, nobile, anche morale, senz’altro di qualità, di classe, di gusto. Ecco, il gusto, ma quale? Senz’altro ciò che si dice “buon gusto”, ma è un concetto sfuggente e rischioso. Allora il gusto dei clienti, quelli cui ci si vuole rivolgere, ovviamente. In altre parole, se lusso è ciò che il cliente avverte come tale, ciò che il soggetto è in grado di percepire sia per dotazione biologica sia per improvement biografico, la conoscenza dei propri clienti è il primo atto fondamentale per determinare gli standard di qualità ottimali che si vogliono offrire per soddisfare tutte le esigenze degli ospiti.

Anche se standard non è il termine migliore. Se con il Decreto Legge del 21 ottobre 2008 sono state definite le caratteristiche che identificano gli standard minimi delle categorie di hotel valide su tutto il territorio nazionale, è una qualità esterna a qualsiasi standard che ha un’importanza sempre più determinante: la connessione emotiva e il progetto sensoriale.

Richiamare la necessità di comprendere le esigenze, i gusti,i comportamenti degli utenti – e possiamo farlo anche attraverso un’analisi etno semiotica che ci permette di studiare le condotte non verbali (gestuali,rituali, cerimoniali) trattate come segni linguistici di una comunità culturale al fine di capire quale “valore di senso” abbiano le pratiche quotidiane per i suoi membri – vuol dire leggere tali comportamenti come significanti di un significato.

“Si è vero, ho una BMW ma solo perché BMW stà per Bob Marleyand the Wailers e non perché mi piacciono le automobili di lusso”, diceva il re indiscusso del reggae.

Poi tale significato deve essere tradotto in attese emotive. Connettersi con le attese emotive del gruppo analizzato permetterà, per ogni pratica o ‘rituale’ sviluppato nell’uso dello spazio hotel, di articolare una risposta sensoriale. E la risposta non può che essere complessa.

Gli hotel, certo, possono rafforzare l’esperienza vissuta dai propri clienti affiancando alla razionalità che ha determinato la loro scelta piccoli dettagli che agiscono sui sensi. Molte catene alberghiere utilizzano l’olfatto per stimolare le sensazioni dei propri ospiti, attivando ricordi ed emozioni positivi: alcune, come Holiday Inn, con un profumo uguale in tutte le strutture al fine di creare una coerente identità olfattiva comune in tutto il mondo; altre, come il Ritz-Carlton, con profumi differenti per diverse aree geografiche. Gli Hard Rock Hotel si affidano al suono, chiedendo ai propri ospiti di compilare un format in cui indicare il proprio genere musicale e i brani preferiti, di cui sarà attivata la riproduzione al momento d’ingresso incamera. Poi il gusto: DoubleTree by Hilton offre a tutti i suoi ospiti un caldo biscotto con scaglie di cioccolato per trasmettere una sensazione di cura e calore nei loro confronti; altri offrono stuzzichini durante l’Happy hour o un bicchiere di vino all’arrivo. E ovviamente il tatto, che “leggiamo” con la vista oltre che con il contatto fisico, ed esperiamo nei materiali, nelle finiture, nei tessuti che compongono gli arredi, e che dovranno trasmettere la sensazione di comfort e lusso.

Ma la risposta non può che essere più complessa di tali espedienti: deve cioè utilizzare tutta la stratificazione di ‘segni’ (per restare alla semiotica) che compongono l’architettura, e tutta la dimensione sensori-motoria (per dirla con la neuroscienza) dell’esperienza che ne facciamo. Quindi, non solo essenze, materiali, suoni, ma l’integrazione di tutta la complessità: la dinamica delle sequenze spaziali, le sezioni, la scala, la forma geometrica e il ritmo, la luce e così via.

Non si tratta, cioè, di Marketing sensoriale, che tradirebbe troppo evidentemente l’uso strumentale delle scienze umane.

Si può pensare che un hotel sia di fatto un set cinematografico, dove l’architetto costruisce la scenografia per mettere inscena la ‘vita che vorrei’. Il viaggio, per lavoro o per turismo, è una pausa dal proprio reale, anche per i business travelers, perché apre sempre una possibilità. Lo spazio dell’albergo incarna quella possibilità, quell’attesa.

La pratica e i rituali da trasformare in forma architettonica, quindi, non dovrebbero essere quelli quotidiani, quelli reali,quanto piuttosto quelli immaginari. La percezione dello scenario dell’hotel,attraverso l’integrazione dei sensi, dovrebbe perciò innescare l’emersione dell’identità del gruppo “profilato”. Il lusso potrebbe allora consistere, piuttosto che nell’opposto della volgarità, nell’opposto di un film scritto male, senza sceneggiatura né soggetto. Dove esiste una storia coerente, esiste una sapiente corrispondenza, una concinnitas avrebbe detto Alberti, tra tutti gli elementi in gioco, tra tutti i livelli sensoriali agiti attraverso l’immersione del corpo umano in movimento nello spazio.

È la ricerca di questa armonia orchestrale che deve guidare l’ingresso della dimensione sensoriale nel progetto, pena la riduzione dei sensi a strumento d’inganno, come avrebbe detto Platone.  

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