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FORESIGHT 2020

Data Centers of the future are here

I talk dei nostri Master
23/10/2020
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Si è svolto il 15 ottobre l’evento FORESIGHT 2020, il digital summit di Lombardini22 dedicato allo sviluppo della nostra comunità, al futuro della città e alle prospettive del Real Estate. Lo abbiamo condotto con attenzione al mondo immobiliare, poiché rappresenta non solo la nostra comunità di riferimento ma un’industria strategica per il l’evoluzione delle città in cui vivremo, per il loro finanziamento e per le forme di benessere che ci sapranno offrire. Tuttavia lo abbiamo progettato proponendo contenuti più larghi, che vadano oltre lo specifico del nostro settore e l’urgenza delle decisioni immediate: lo abbiamo chiamato “lungimirante” perché ci potesse dare una mappa, o anche solo una bussola, per orientarci negli incerti tempi a venire.

Anche quest’anno, grazie alla presenza di ospiti d’eccezione, FORESIGHT 2020 ha costruito intorno al nostro mondo disciplinare un panorama abbastanza unico mettendo insieme, pur a dovuta e prudente distanza, temi e persone che abbracciano economia e sostenibilità, digitalizzazione e benessere, medicina e amministrazione pubblica, politiche europee e mondo del lavoro, relazioni sociali e sguardi sulle (e delle) giovani generazioni come rappresentazioni vive della domanda futura.

Aperto da Franco Guidi, Ad e Partner Lombardini22, e moderato da Paola Dezza, giornalista de Il Sole 24 Ore, l’evento ha visto avvicendarsi 10 Master: Nerio Alessandri, Marco Bucci, Carlo Cottarelli, Paolo De Nadai, Dario Di Vico, Valeria Falcone, Monica Frassoni, Chiara Giaccardi, Salvatore Majorana e Giuseppe Remuzzi, ognuno invitato a proporre un talk di 15 minuti seguito da una breve sessione di Q&A aperta all’interazione del pubblico. Ne è emersa una forte complessità che l’incertezza dei tempi rende ancora più complicato risolvere, ma allo stesso tempo una grande tensione comune, la consapevolezza di dover guardare tutti in una stessa direzione, la necessità di consolidare collaborazioni e creare nuove sinergie.

Grandi numeri, macro sfide

E dalle sinergie partiamo, quelle delle riforme e degli investimenti che Carlo Cottarelli in collegamento da Washington ci ricorda come improrogabili e necessari, tutti insieme!, affinché si possa ripartire dalla brusca frenata dovuta alla pandemia di cui tutta Europa più degli Stati Uniti ha sofferto, e in modo particolare l’Italia. Il nostro paese ha avuto un crollo di reddito come non si era visto dalla fine della seconda guerra mondiale (dovuto al Lockdown a alla paura che questo ha innescato) e solo grazie alle risorse della BCE ha potuto applicare politiche espansive per cui è passato da 30 a 180 miliardi di deficit pubblico (dall’1% all’11% circa).

Ora però servono infrastrutture (di cui almeno il 37% green), più digitalizzazione (su cui scontiamo un forte ritardo), snellimento della Pubblica Amministrazione e della burocrazia, giustizia civile e penale efficiente, più investimenti su pubblica istruzione e ricerca di base e applicata (su cui si sta spendendo il piano Amaldi per raggiungere entro il 2026 gli attuali livelli di Francia e Germania): un piano strategico al quale è condizionato il ricorso al Recovery Fund, un’occasione storica per puntare di nuovo alla crescita e ad un maggior allineamento con i nostri partner europei.

Più Europa, quindi, e soprattutto più sviluppo con una visione comune che guardi all’obiettivo da raggiungere e non ai bizantinismi delle procedure, che non sia (troppo) viziata dal conflitto politico, che sappia rispondere all’emergenza proiettando a medio-lungo termine le scelte di oggi.

Un approccio che il sindaco di Genova Marco Bucci ci ha ben descritto a proposito dell’esperienza del Ponte Morandi, affrontata con un forte allineamento istituzionale e un metodo operativo da impresa privata, adottando tecniche di Project Management e un pragmatismo di matrice anglosassone nel processo decisionale: una mentalità da civil servant, sottolinea Bucci, che non privilegia il processo amministrativo a scapito della responsabilità della scelta (magari anche sbagliando, ma con la prontezza di correggersi in funzione del risultato). Il risultato è arrivato. Ed è un caso emblematico di cui Genova può far tesoro nell’imminente futuro per valorizzare la sua vocazione di “porta d’ingresso europea di merci, persone e cultura” e, a breve, anche di dati con il cavo sottomarino BlueMed (un’infrastruttura capace di veicolare 240 terabyte al secondo).

È un modello replicabile e soprattutto scalabile a livello nazionale? È utile per affrontare alcune criticità e ritardi storici del nostro paese?

In quale clima ci muoviamo?

Una sfida che tocca aspetti più ampi della cronaca pandemica e si radica nel grande tema ambientale del cambiamento climatico e dei suoi effetti sul territorio: ovvero, parlando di nuovo il linguaggio europeo, riguarda il Green Deal. Lo abbiamo affrontato con Monica Frassoni, Presidente della European Alliance to Save Energy (EU-ASE). Per quanto l’Italia sia la seconda “Green Economy” d’Europa, c’è molto da fare: consumo di suolo eccessivo, forte dispersione di risorse idriche, aree di inquinamento ambientale e dissesto geologico che riguardano tra i 6 e i 7,5 milioni di abitanti. In questo quadro anche il settore immobiliare ha un ruolo primario. Se investire in rinnovabili ed efficienza energetica è il primo ingrediente di una corretta ricetta green, la ristrutturazione degli edifici, responsabili del 40% delle emissioni di CO2 (di cui il 12% in fase di realizzazione e il 28% nel ciclo di vita), ne è un corollario tra i più urgenti anche per l’indotto occupazionale. Qualsiasi iniziativa troverà il pieno sostegno europeo (come la direttiva “Renovation Wave” che punta a portare il tasso di ristrutturazioni al 3% entro il 2030, e in Italia siamo allo 0,6%!): un margine di miglioramento enorme (cui in Italia si potrà contribuire anche grazie all’Ecobonus al 110%). Nella stessa direzione va l’affascinante idea lanciata da Ursula von der Leyen di istituire una “nuova Bauhaus europea”, ispirata alla storica scuola fondata a Weimar nel 1919: un progetto di mobilitazione della creatività e delle intelligenze in cui l’edilizia sarà uno dei settori più coinvolti.

D’altra parte sostenibilità e Real Estate non possono più andare disgiunti e ciò sta trasformando il settore.

Valeria Falcone, Portfolio Manager & Real Estate Country Head di Barings Alternative Investments, ci ha fornito il quadro di un settore complesso, che rappresenta in Italia circa il 19% del PIL ed è in rapida evoluzione. Della sua molteplicità di attori – costruttori, progettisti, servizi immobiliari, investitori privati e istituzionali, utenti finali – le ultime due figure sono le più cambiate negli ultimi anni: gli investitori, che gestendo per lo più fondi pensione o assicurativi (quindi garantendo redditi di fine vita lavorativa) sarebbero in contraddizione a incrementare i costi sanitari dovuti a un ambiente costruito dannoso; gli utenti finali, perché ormai esprimono una domanda che va oltre la qualità dell’involucro e richiede il WELL e quindi un benessere “social” e di governance. È così in atto una polarizzazione che molto probabilmente escluderà dal mercato gli edifici anche solo leggermente “vetusti”, mentre immobili di “grado A” sono ancora merce rara e attraggono gli investitori soprattutto in città piccole come Milano, più resilienti delle grandi metropoli e dove la metà degli investimenti sono ancora destinati all’asset class degli uffici, nonostante il Covid, il cui segmento “Core” si ridefinisce in modo sempre più stringente.

Ma allora: “L’ufficio è morto, viva l’ufficio”?

È il grande tema del lavoro, della transizione allo smartworking e dell’accelerazione impressa dalla pandemia alle nuove forme di relazione aziendale. Un processo su cui molto si sta dibattendo, mentre alcune grandi aziende, come registra il giornalista Dario Di Vico, hanno già deciso, e non tanto per il post-Covid ma addirittura per il post-vaccino: ovvero, adottando il lavoro da remoto come modalità strutturale (ENI nel rapporto 35/65% e Generali al 100% a rotazione). Aldilà di possibili ragioni di produttività aziendale, di responsabilizzazione degli individui, di efficientamento della forza lavoro, ciò pone alcune questioni che solo apparentemente si possono liquidare in nome dell’innovazione.

Come riorganizzare lo spazio reso disponibile? Che impatto avrà tale processo nei layout domestici investiti stabilmente di nuove funzioni lavorative? Quale flessibilità possono offrire?

Inoltre, la rimodulazione del pendolarismo cambia i pesi territoriali: quali nuovi rapporti tra città e “contado”, tra metropoli e città intermedie? E soprattutto, quale destino per l’ufficio fisico come luogo di scambio, appartenenza, identità simbolica? Su queste e altre questioni (anche sindacali) Di Vico solleva il dubbio che una “rivoluzione” sperimentata in massa durante un’emergenza possa essere rischiosa se adottata strutturalmente in modo troppo rapido e forse frettoloso.

Non è un caso che lo stesso Salvatore Majorana, da una prospettiva privilegiata come il Kilometro Rosso Innovation District – luogo dell’innovazione per eccellenza dove aziende, enti di ricerca, fornitori condividono il medesimo spazio per innescare contaminazione e generare valore – condivida tale dubbio sottolineando quanto non si possa rinunciare alla dimensione della prossimità. La pandemia ha imposto nuovi usi dello spazio, ha insegnato alle aziende ad abbracciare percorsi innovativi e alle persone a colmare le distanze digitalmente, anche riducendo il consumo di risorse, ma uno slot in video conferenza non può sostituirsi alla contaminazione (e quindi alla “scintilla” dell’innovazione) che solo la vicinanza abilita fortemente, poiché manca di continuità. Ciò a maggior ragione nel trasferimento tecnologico. Certo lo spazio va ripensato, ma anche in funzione di nuovi equilibri tra discontinuità digitale e necessaria continuità analogica.

Territori della salute

Un istituto di ricerca che condivide gli spazi del Kilometro Rosso è l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, diretto da Giuseppe Remuzzi, Professore di Nefrologia presso l’Università di Milano. Non per questa prossimità l’abbiamo invitato ad affrontare il tema più caldo del momento, la pandemia, ma perché è stato una delle voci mediche più equilibrate durante la sua fase più acuta. Il suo intervento ce lo ha confermato invitandoci a leggere i numeri attuali con razionalità e senza sensazionalismo, evitando sentimenti di panico. Tuttavia anche confermando le criticità: i sistemi di complemento all’ospedalizzazione che possano arginare un’evoluzione sanitaria poco sostenibile, la medicina territoriale e l’organizzazione di base, la gestione delle quarantene. Poiché la domanda è: cosa facciamo dei positivi una volta individuati? Dove li mettiamo? E qui il settore immobiliare può fare la sua parte, perché è necessario implementare la funzione “alberghiera” a supporto della diagnostica e del tracciamento, perché la malattia si cura a casa a condizione che le case permettano di farlo.

La diffusione dei presìdi territoriali è un tema fondamentale: una medicina “on the Go”?

Sotto un altro punto di vista è un argomento assimilabile a ciò di cui ci parla Nerio Alessandri, Presidente di Technogym e creatore di “Wellness Valley”, declinato non sulla capacità di cura ma sulla prevenzione: promuovere e supportare il benessere diffuso e gli stili di vita salutari, coinvolgendo tutti gli stakeholder nella costruzione di un ecosistema che tenga insieme economia, sviluppo territoriale, implementazione digitale e, appunto, salute preventiva. Si tratterebbe anche di passare dal primato del PIL al concetto di Benessere Interno Lordo (BIL), come raccomandavano nel 2009 Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi nel rapporto della commissione che prese i loro nomi. Un indicatore multidimensionale che considera tra i suoi parametri anche l’educazione, il tempo libero e le interazioni con gli altri: cioè le relazioni.

Relazioni e generazioni

Le relazioni sono al centro di altre due riflessioni, molto diverse tra loro, sollecitate nel summit. Con Paolo De Nadai, Fondatore di ScuolaZoo e WeRoad e Presidente di OneDay Group, abbiamo voluto una voce di nuova generazione che ci parlasse di community da cui sviluppare modelli di socialità e di business. Un modello rivolto ai Millennials, nato nell’education e nel turismo e poi virato, in pieno lockdown e quindi in un momento di centralità della casa, nella gestione immobiliare con interessanti progetti di co-living che esprimono tutto il potenziale del consumo esperienziale, dei servizi, dell’engagement comunitario abilitato dalla dimensione social della comunicazione digitale come sempre più necessario valore aggiunto del Real Estate.

Tuttavia le relazioni assumono un tono del tutto diverso nella comunicazione di Chiara Giaccardi, Docente di Sociologia e Antropologia dei media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Di fronte all’evento Covid, che a suo avviso (e per molti) è una “rivelazione” perché mostra, come l’effetto farfalla di Lorenz, l’interdipendenza planetaria e la fragilità cui siamo soggetti (per cui qualsiasi muro è inefficace), le relazioni, i legami rappresentano la tenuta, il fattore di resilienza rispetto a qualcosa che ha sovvertito profondamente il nostro modello attuale.

E che ci chiama a una ristrutturazione del pensiero e ad un nuovo, si può dire, “patto sociale”.

A partire da cinque parole: resilienza è appunto la prima, la capacità di assorbire un urto senza spezzarsi; inter-indipendenza, quasi un ossimoro che descrive l’infrastruttura relazionale che ci rende liberi e legati insieme; responsività, cioè rispondere di noi stessi ma anche del legame intersoggettivo; cura, cioè reciprocità inclusiva che valorizza l’altro; pro-tensione, uno sguardo al futuro che non sia fatalista né abbia pretese di controllo. Un pensiero dell’eccedenza, che cioè vada oltre la società del contratto e dello scambio efficiente di prestazioni.

Una chiusa impegnativa, generativa e molto invitante:

e se iniziassimo ad andare oltre la pura efficienza dello scambio prestazionale introducendo delle “meaningful inefficiencies”?

Nell’attesa, ringraziamo tutti i Master, i partecipanti e gli sponsor che, in una tipica giornata uggiosa milanese che ci ha fatto apprezzare la dimensione “indoor” (nella quale, del resto, siamo normalmente per il 90% del nostro tempo), ci hanno alleggerito il peso della distanza e della mancanza di abbracci con la loro straordinaria capacità di tenere insieme la grande complessità del momento, senza esasperarla in ulteriori fratture ma cercando, e trovando, tutte le piccole ragioni che insieme possano costruire una visione condivisa e lungimirante davvero.

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October 23, 2020
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FORESIGHT 2020

Si è svolto il 15 ottobre l’evento FORESIGHT 2020, il digital summit di Lombardini22 dedicato allo sviluppo della nostra comunità, al futuro della città e alle prospettive del Real Estate. Lo abbiamo condotto con attenzione al mondo immobiliare, poiché rappresenta non solo la nostra comunità di riferimento ma un’industria strategica per il l’evoluzione delle città in cui vivremo, per il loro finanziamento e per le forme di benessere che ci sapranno offrire. Tuttavia lo abbiamo progettato proponendo contenuti più larghi, che vadano oltre lo specifico del nostro settore e l’urgenza delle decisioni immediate: lo abbiamo chiamato “lungimirante” perché ci potesse dare una mappa, o anche solo una bussola, per orientarci negli incerti tempi a venire.

Anche quest’anno, grazie alla presenza di ospiti d’eccezione, FORESIGHT 2020 ha costruito intorno al nostro mondo disciplinare un panorama abbastanza unico mettendo insieme, pur a dovuta e prudente distanza, temi e persone che abbracciano economia e sostenibilità, digitalizzazione e benessere, medicina e amministrazione pubblica, politiche europee e mondo del lavoro, relazioni sociali e sguardi sulle (e delle) giovani generazioni come rappresentazioni vive della domanda futura.

Aperto da Franco Guidi, Ad e Partner Lombardini22, e moderato da Paola Dezza, giornalista de Il Sole 24 Ore, l’evento ha visto avvicendarsi 10 Master: Nerio Alessandri, Marco Bucci, Carlo Cottarelli, Paolo De Nadai, Dario Di Vico, Valeria Falcone, Monica Frassoni, Chiara Giaccardi, Salvatore Majorana e Giuseppe Remuzzi, ognuno invitato a proporre un talk di 15 minuti seguito da una breve sessione di Q&A aperta all’interazione del pubblico. Ne è emersa una forte complessità che l’incertezza dei tempi rende ancora più complicato risolvere, ma allo stesso tempo una grande tensione comune, la consapevolezza di dover guardare tutti in una stessa direzione, la necessità di consolidare collaborazioni e creare nuove sinergie.

Grandi numeri, macro sfide

E dalle sinergie partiamo, quelle delle riforme e degli investimenti che Carlo Cottarelli in collegamento da Washington ci ricorda come improrogabili e necessari, tutti insieme!, affinché si possa ripartire dalla brusca frenata dovuta alla pandemia di cui tutta Europa più degli Stati Uniti ha sofferto, e in modo particolare l’Italia. Il nostro paese ha avuto un crollo di reddito come non si era visto dalla fine della seconda guerra mondiale (dovuto al Lockdown a alla paura che questo ha innescato) e solo grazie alle risorse della BCE ha potuto applicare politiche espansive per cui è passato da 30 a 180 miliardi di deficit pubblico (dall’1% all’11% circa).

Ora però servono infrastrutture (di cui almeno il 37% green), più digitalizzazione (su cui scontiamo un forte ritardo), snellimento della Pubblica Amministrazione e della burocrazia, giustizia civile e penale efficiente, più investimenti su pubblica istruzione e ricerca di base e applicata (su cui si sta spendendo il piano Amaldi per raggiungere entro il 2026 gli attuali livelli di Francia e Germania): un piano strategico al quale è condizionato il ricorso al Recovery Fund, un’occasione storica per puntare di nuovo alla crescita e ad un maggior allineamento con i nostri partner europei.

Più Europa, quindi, e soprattutto più sviluppo con una visione comune che guardi all’obiettivo da raggiungere e non ai bizantinismi delle procedure, che non sia (troppo) viziata dal conflitto politico, che sappia rispondere all’emergenza proiettando a medio-lungo termine le scelte di oggi.

Un approccio che il sindaco di Genova Marco Bucci ci ha ben descritto a proposito dell’esperienza del Ponte Morandi, affrontata con un forte allineamento istituzionale e un metodo operativo da impresa privata, adottando tecniche di Project Management e un pragmatismo di matrice anglosassone nel processo decisionale: una mentalità da civil servant, sottolinea Bucci, che non privilegia il processo amministrativo a scapito della responsabilità della scelta (magari anche sbagliando, ma con la prontezza di correggersi in funzione del risultato). Il risultato è arrivato. Ed è un caso emblematico di cui Genova può far tesoro nell’imminente futuro per valorizzare la sua vocazione di “porta d’ingresso europea di merci, persone e cultura” e, a breve, anche di dati con il cavo sottomarino BlueMed (un’infrastruttura capace di veicolare 240 terabyte al secondo).

È un modello replicabile e soprattutto scalabile a livello nazionale? È utile per affrontare alcune criticità e ritardi storici del nostro paese?

In quale clima ci muoviamo?

Una sfida che tocca aspetti più ampi della cronaca pandemica e si radica nel grande tema ambientale del cambiamento climatico e dei suoi effetti sul territorio: ovvero, parlando di nuovo il linguaggio europeo, riguarda il Green Deal. Lo abbiamo affrontato con Monica Frassoni, Presidente della European Alliance to Save Energy (EU-ASE). Per quanto l’Italia sia la seconda “Green Economy” d’Europa, c’è molto da fare: consumo di suolo eccessivo, forte dispersione di risorse idriche, aree di inquinamento ambientale e dissesto geologico che riguardano tra i 6 e i 7,5 milioni di abitanti. In questo quadro anche il settore immobiliare ha un ruolo primario. Se investire in rinnovabili ed efficienza energetica è il primo ingrediente di una corretta ricetta green, la ristrutturazione degli edifici, responsabili del 40% delle emissioni di CO2 (di cui il 12% in fase di realizzazione e il 28% nel ciclo di vita), ne è un corollario tra i più urgenti anche per l’indotto occupazionale. Qualsiasi iniziativa troverà il pieno sostegno europeo (come la direttiva “Renovation Wave” che punta a portare il tasso di ristrutturazioni al 3% entro il 2030, e in Italia siamo allo 0,6%!): un margine di miglioramento enorme (cui in Italia si potrà contribuire anche grazie all’Ecobonus al 110%). Nella stessa direzione va l’affascinante idea lanciata da Ursula von der Leyen di istituire una “nuova Bauhaus europea”, ispirata alla storica scuola fondata a Weimar nel 1919: un progetto di mobilitazione della creatività e delle intelligenze in cui l’edilizia sarà uno dei settori più coinvolti.

D’altra parte sostenibilità e Real Estate non possono più andare disgiunti e ciò sta trasformando il settore.

Valeria Falcone, Portfolio Manager & Real Estate Country Head di Barings Alternative Investments, ci ha fornito il quadro di un settore complesso, che rappresenta in Italia circa il 19% del PIL ed è in rapida evoluzione. Della sua molteplicità di attori – costruttori, progettisti, servizi immobiliari, investitori privati e istituzionali, utenti finali – le ultime due figure sono le più cambiate negli ultimi anni: gli investitori, che gestendo per lo più fondi pensione o assicurativi (quindi garantendo redditi di fine vita lavorativa) sarebbero in contraddizione a incrementare i costi sanitari dovuti a un ambiente costruito dannoso; gli utenti finali, perché ormai esprimono una domanda che va oltre la qualità dell’involucro e richiede il WELL e quindi un benessere “social” e di governance. È così in atto una polarizzazione che molto probabilmente escluderà dal mercato gli edifici anche solo leggermente “vetusti”, mentre immobili di “grado A” sono ancora merce rara e attraggono gli investitori soprattutto in città piccole come Milano, più resilienti delle grandi metropoli e dove la metà degli investimenti sono ancora destinati all’asset class degli uffici, nonostante il Covid, il cui segmento “Core” si ridefinisce in modo sempre più stringente.

Ma allora: “L’ufficio è morto, viva l’ufficio”?

È il grande tema del lavoro, della transizione allo smartworking e dell’accelerazione impressa dalla pandemia alle nuove forme di relazione aziendale. Un processo su cui molto si sta dibattendo, mentre alcune grandi aziende, come registra il giornalista Dario Di Vico, hanno già deciso, e non tanto per il post-Covid ma addirittura per il post-vaccino: ovvero, adottando il lavoro da remoto come modalità strutturale (ENI nel rapporto 35/65% e Generali al 100% a rotazione). Aldilà di possibili ragioni di produttività aziendale, di responsabilizzazione degli individui, di efficientamento della forza lavoro, ciò pone alcune questioni che solo apparentemente si possono liquidare in nome dell’innovazione.

Come riorganizzare lo spazio reso disponibile? Che impatto avrà tale processo nei layout domestici investiti stabilmente di nuove funzioni lavorative? Quale flessibilità possono offrire?

Inoltre, la rimodulazione del pendolarismo cambia i pesi territoriali: quali nuovi rapporti tra città e “contado”, tra metropoli e città intermedie? E soprattutto, quale destino per l’ufficio fisico come luogo di scambio, appartenenza, identità simbolica? Su queste e altre questioni (anche sindacali) Di Vico solleva il dubbio che una “rivoluzione” sperimentata in massa durante un’emergenza possa essere rischiosa se adottata strutturalmente in modo troppo rapido e forse frettoloso.

Non è un caso che lo stesso Salvatore Majorana, da una prospettiva privilegiata come il Kilometro Rosso Innovation District – luogo dell’innovazione per eccellenza dove aziende, enti di ricerca, fornitori condividono il medesimo spazio per innescare contaminazione e generare valore – condivida tale dubbio sottolineando quanto non si possa rinunciare alla dimensione della prossimità. La pandemia ha imposto nuovi usi dello spazio, ha insegnato alle aziende ad abbracciare percorsi innovativi e alle persone a colmare le distanze digitalmente, anche riducendo il consumo di risorse, ma uno slot in video conferenza non può sostituirsi alla contaminazione (e quindi alla “scintilla” dell’innovazione) che solo la vicinanza abilita fortemente, poiché manca di continuità. Ciò a maggior ragione nel trasferimento tecnologico. Certo lo spazio va ripensato, ma anche in funzione di nuovi equilibri tra discontinuità digitale e necessaria continuità analogica.

Territori della salute

Un istituto di ricerca che condivide gli spazi del Kilometro Rosso è l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, diretto da Giuseppe Remuzzi, Professore di Nefrologia presso l’Università di Milano. Non per questa prossimità l’abbiamo invitato ad affrontare il tema più caldo del momento, la pandemia, ma perché è stato una delle voci mediche più equilibrate durante la sua fase più acuta. Il suo intervento ce lo ha confermato invitandoci a leggere i numeri attuali con razionalità e senza sensazionalismo, evitando sentimenti di panico. Tuttavia anche confermando le criticità: i sistemi di complemento all’ospedalizzazione che possano arginare un’evoluzione sanitaria poco sostenibile, la medicina territoriale e l’organizzazione di base, la gestione delle quarantene. Poiché la domanda è: cosa facciamo dei positivi una volta individuati? Dove li mettiamo? E qui il settore immobiliare può fare la sua parte, perché è necessario implementare la funzione “alberghiera” a supporto della diagnostica e del tracciamento, perché la malattia si cura a casa a condizione che le case permettano di farlo.

La diffusione dei presìdi territoriali è un tema fondamentale: una medicina “on the Go”?

Sotto un altro punto di vista è un argomento assimilabile a ciò di cui ci parla Nerio Alessandri, Presidente di Technogym e creatore di “Wellness Valley”, declinato non sulla capacità di cura ma sulla prevenzione: promuovere e supportare il benessere diffuso e gli stili di vita salutari, coinvolgendo tutti gli stakeholder nella costruzione di un ecosistema che tenga insieme economia, sviluppo territoriale, implementazione digitale e, appunto, salute preventiva. Si tratterebbe anche di passare dal primato del PIL al concetto di Benessere Interno Lordo (BIL), come raccomandavano nel 2009 Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi nel rapporto della commissione che prese i loro nomi. Un indicatore multidimensionale che considera tra i suoi parametri anche l’educazione, il tempo libero e le interazioni con gli altri: cioè le relazioni.

Relazioni e generazioni

Le relazioni sono al centro di altre due riflessioni, molto diverse tra loro, sollecitate nel summit. Con Paolo De Nadai, Fondatore di ScuolaZoo e WeRoad e Presidente di OneDay Group, abbiamo voluto una voce di nuova generazione che ci parlasse di community da cui sviluppare modelli di socialità e di business. Un modello rivolto ai Millennials, nato nell’education e nel turismo e poi virato, in pieno lockdown e quindi in un momento di centralità della casa, nella gestione immobiliare con interessanti progetti di co-living che esprimono tutto il potenziale del consumo esperienziale, dei servizi, dell’engagement comunitario abilitato dalla dimensione social della comunicazione digitale come sempre più necessario valore aggiunto del Real Estate.

Tuttavia le relazioni assumono un tono del tutto diverso nella comunicazione di Chiara Giaccardi, Docente di Sociologia e Antropologia dei media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Di fronte all’evento Covid, che a suo avviso (e per molti) è una “rivelazione” perché mostra, come l’effetto farfalla di Lorenz, l’interdipendenza planetaria e la fragilità cui siamo soggetti (per cui qualsiasi muro è inefficace), le relazioni, i legami rappresentano la tenuta, il fattore di resilienza rispetto a qualcosa che ha sovvertito profondamente il nostro modello attuale.

E che ci chiama a una ristrutturazione del pensiero e ad un nuovo, si può dire, “patto sociale”.

A partire da cinque parole: resilienza è appunto la prima, la capacità di assorbire un urto senza spezzarsi; inter-indipendenza, quasi un ossimoro che descrive l’infrastruttura relazionale che ci rende liberi e legati insieme; responsività, cioè rispondere di noi stessi ma anche del legame intersoggettivo; cura, cioè reciprocità inclusiva che valorizza l’altro; pro-tensione, uno sguardo al futuro che non sia fatalista né abbia pretese di controllo. Un pensiero dell’eccedenza, che cioè vada oltre la società del contratto e dello scambio efficiente di prestazioni.

Una chiusa impegnativa, generativa e molto invitante:

e se iniziassimo ad andare oltre la pura efficienza dello scambio prestazionale introducendo delle “meaningful inefficiencies”?

Nell’attesa, ringraziamo tutti i Master, i partecipanti e gli sponsor che, in una tipica giornata uggiosa milanese che ci ha fatto apprezzare la dimensione “indoor” (nella quale, del resto, siamo normalmente per il 90% del nostro tempo), ci hanno alleggerito il peso della distanza e della mancanza di abbracci con la loro straordinaria capacità di tenere insieme la grande complessità del momento, senza esasperarla in ulteriori fratture ma cercando, e trovando, tutte le piccole ragioni che insieme possano costruire una visione condivisa e lungimirante davvero.

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