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I tempi della città
18/5/2018
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Unire sviluppo e inclusività urbana è la grande sfida progettuale per il Real Estate del prossimo futuro.

Siamo di fronte a grandissimi cambiamenti e crescono i rischi dovuti a scenari futuri fuori dal nostro controllo e sempre meno prevedibili: gli attori nel modello di rigenerazione convenzionale faticano a trovare un equilibrio tra esigenze di capitale, di ritorni economici, di miglioramento sociale, di sostenibilità ambientale, e questo ha un impatto sul territorio dove la sfida tra interessi a breve termine e visione di lungo periodo è continua. Sfida che investe necessariamente Milano nelle sue grandi aree di trasformazione, ma anche nel suo tessuto urbano minore e diffuso, e in entrambi i casi il tema della comunità è centrale.

In occasione della presentazione di Arexpo, per la prima volta abbiamo sentito un grande operatore, Lendlease, parlare di sviluppo a 30 anni, un periodo che in qualche modo dovrà riunire tematiche temporali molto diverse: il tempo dell’operatore immobiliare, quello del cittadino e quello, molto lungo, dello sviluppo della comunità.

Un tema importante che, ieri (17 maggio) – con il primo evento del programma culturale di Lombardini22 per il 2018 – abbiamo indagato con due ospiti d’eccezione: Piero Pelizzaro, Chief Resilience Officer per il Comune di Milano, e Marco Dall’Orso, Chief Operating Officer dell’area Sviluppo Immobiliare ed Asset Management di Arexpo. Un uomo delle Istituzioni e uno del Real Estate che – moderati da Franco Guidi, AD e Partner Lombardini22 – ci hanno aiutato a comprendere le dinamiche che potranno rendere più attrattiva la nostra città, creare occasioni di crescita e sviluppare resilienza urbana.

Come Arexpo e Comune di Milano interpretano questo complesso scenario?

“La creazione della comunità è evidentemente l’obiettivo finale di Arexpo – ha dichiarato Marco Dall’Orso – e ci stiamo lavorando con una visione ben precisa: quella di creare un ecosistema dell’innovazione di nuova generazione con un approccio a due dimensioni. La prima è la parte immobiliare, l’ambiente costruito: è la dimensione classica su cui siamo abituati a ragionare. La seconda dimensione è socio-economica, l’ambiente sociale”.

Asset tangibili e intangibili, quindi, i cui “ingredienti – continua Dall’Orso – sono rispettivamente: disponibilità di capitali, di tecnologia e alta qualità dell’ambiente costruito (sotto tutti i punti di vista); e poi le persone (i talenti), il network di relazioni e, infine, la cultura (una cultura dell’innovazione, che premia il rischio, non demonizza il fallimento e favorisce l’imprenditorialità)”.

La sfida è ovviamente dovuta alle proporzioni dell’intervento: un milione di metri quadri che a regime ospiterà 50/60 mila persone giornalmente, una grande comunità da creare “dal nulla”, in una città in qualche modo di fondazione. Tuttavia è un’area molto chiara, grande ma circoscritta e con un forte investimento.

Come agire, invece, nel tessuto allargato, complesso e già dato di tutta una città?

“Si dice che a Venezia tutti si conoscono – esordisce Piero Pelizzaro – ma tutti si conoscono perché a Venezia si cammina, non sei dentro una macchina. E quando cammini sei costretto a guardarti negli occhi: il contatto umano diretto è il primo fattore di costruzione di comunità.

Come si può favorire questo processo in una città come Milano?

“Lavorando sulla mobilità, per esempio, anche rallentando – un tema che il sindaco Sala ha sollevato negli ultimi mesi: rallentare e riorganizzare i tempi della città. Perché una città che si confronta, che dialoga, si parla e si dedica del tempo è una città che costruisce insieme una visione”.

Quindi ritornare a creare luoghi di dialogo e di confronto, ovvero luoghi di comunità. Come?

Trasformando una piazza, per esempio – prosegue Pelizzaro – e lo abbiamo visto di recente a Rotterdam con la trasformazione delle piazze d’acqua (a proposito di adattamento ai cambiamenti climatici che è un altro tema della resilienza): le famose piazze d’acqua di Rotterdam non generano solo luoghi capaci di assorbire piogge eccezionalmente intense, come di recente avviene, ma luoghi che restituiscono vitalità… Affrontare anche queste piccole cose, quindi: la sicurezza, la vivibilità dello spazio pubblico, perché quella vivibilità genera senso di appartenenza e quindi di comunità. E funziona”.

Sembrano tornare attuali i temi di Jane Jacobs, autrice nel 1961 del testo classico Vita e morte delle grandi città e promotrice di quella “danza dei marciapiedi” come primo indicatore di vitalità urbana. Fino a pochi anni fa le sue idee, pur persuasive, erano criticate per mancanza di evidenze scientifiche. Oggi recenti ricerche su Seoul (2015) e su alcune città italiane tra cui Milano (2016) ne hanno confermato per la prima volta le teorie con successo.

Resta comunque una polarizzazione: tra grande pianificazione (“dall’alto”) e micro interventi (“dal basso”), tra disegno complessivo della città e “agopunture” urbane, tra grandi programmi a lungo termine e forte domanda di spazio pubblico e di condivisioni e relazioni più immediate.

 

Ovviamente entrambi i poli sono necessari e vanno integrati tra loro: a fronte delle nuove sfide poste dalle città contemporanee, i piccoli processi incrementali non sempre sono adeguati alla portata e all'urgenza dei bisogni, e misure più dirette e ambiziose sono richieste.

Anche questo è stato il grande tema della conversazione che si è svolta nei nostri spazi: di cui i passaggi dei nostri ospiti, qui riportati, non sono che un piccolo assaggio. Per la versione completa, vi rimandiamo al prossimo Position Paper.

Stay tuned!

 

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

Scopri l'Universal Design nell'ospitalità

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Unire sviluppo e inclusività urbana è la grande sfida progettuale per il Real Estate del prossimo futuro.

Siamo di fronte a grandissimi cambiamenti e crescono i rischi dovuti a scenari futuri fuori dal nostro controllo e sempre meno prevedibili: gli attori nel modello di rigenerazione convenzionale faticano a trovare un equilibrio tra esigenze di capitale, di ritorni economici, di miglioramento sociale, di sostenibilità ambientale, e questo ha un impatto sul territorio dove la sfida tra interessi a breve termine e visione di lungo periodo è continua. Sfida che investe necessariamente Milano nelle sue grandi aree di trasformazione, ma anche nel suo tessuto urbano minore e diffuso, e in entrambi i casi il tema della comunità è centrale.

In occasione della presentazione di Arexpo, per la prima volta abbiamo sentito un grande operatore, Lendlease, parlare di sviluppo a 30 anni, un periodo che in qualche modo dovrà riunire tematiche temporali molto diverse: il tempo dell’operatore immobiliare, quello del cittadino e quello, molto lungo, dello sviluppo della comunità.

Un tema importante che, ieri (17 maggio) – con il primo evento del programma culturale di Lombardini22 per il 2018 – abbiamo indagato con due ospiti d’eccezione: Piero Pelizzaro, Chief Resilience Officer per il Comune di Milano, e Marco Dall’Orso, Chief Operating Officer dell’area Sviluppo Immobiliare ed Asset Management di Arexpo. Un uomo delle Istituzioni e uno del Real Estate che – moderati da Franco Guidi, AD e Partner Lombardini22 – ci hanno aiutato a comprendere le dinamiche che potranno rendere più attrattiva la nostra città, creare occasioni di crescita e sviluppare resilienza urbana.

Come Arexpo e Comune di Milano interpretano questo complesso scenario?

“La creazione della comunità è evidentemente l’obiettivo finale di Arexpo – ha dichiarato Marco Dall’Orso – e ci stiamo lavorando con una visione ben precisa: quella di creare un ecosistema dell’innovazione di nuova generazione con un approccio a due dimensioni. La prima è la parte immobiliare, l’ambiente costruito: è la dimensione classica su cui siamo abituati a ragionare. La seconda dimensione è socio-economica, l’ambiente sociale”.

Asset tangibili e intangibili, quindi, i cui “ingredienti – continua Dall’Orso – sono rispettivamente: disponibilità di capitali, di tecnologia e alta qualità dell’ambiente costruito (sotto tutti i punti di vista); e poi le persone (i talenti), il network di relazioni e, infine, la cultura (una cultura dell’innovazione, che premia il rischio, non demonizza il fallimento e favorisce l’imprenditorialità)”.

La sfida è ovviamente dovuta alle proporzioni dell’intervento: un milione di metri quadri che a regime ospiterà 50/60 mila persone giornalmente, una grande comunità da creare “dal nulla”, in una città in qualche modo di fondazione. Tuttavia è un’area molto chiara, grande ma circoscritta e con un forte investimento.

Come agire, invece, nel tessuto allargato, complesso e già dato di tutta una città?

“Si dice che a Venezia tutti si conoscono – esordisce Piero Pelizzaro – ma tutti si conoscono perché a Venezia si cammina, non sei dentro una macchina. E quando cammini sei costretto a guardarti negli occhi: il contatto umano diretto è il primo fattore di costruzione di comunità.

Come si può favorire questo processo in una città come Milano?

“Lavorando sulla mobilità, per esempio, anche rallentando – un tema che il sindaco Sala ha sollevato negli ultimi mesi: rallentare e riorganizzare i tempi della città. Perché una città che si confronta, che dialoga, si parla e si dedica del tempo è una città che costruisce insieme una visione”.

Quindi ritornare a creare luoghi di dialogo e di confronto, ovvero luoghi di comunità. Come?

Trasformando una piazza, per esempio – prosegue Pelizzaro – e lo abbiamo visto di recente a Rotterdam con la trasformazione delle piazze d’acqua (a proposito di adattamento ai cambiamenti climatici che è un altro tema della resilienza): le famose piazze d’acqua di Rotterdam non generano solo luoghi capaci di assorbire piogge eccezionalmente intense, come di recente avviene, ma luoghi che restituiscono vitalità… Affrontare anche queste piccole cose, quindi: la sicurezza, la vivibilità dello spazio pubblico, perché quella vivibilità genera senso di appartenenza e quindi di comunità. E funziona”.

Sembrano tornare attuali i temi di Jane Jacobs, autrice nel 1961 del testo classico Vita e morte delle grandi città e promotrice di quella “danza dei marciapiedi” come primo indicatore di vitalità urbana. Fino a pochi anni fa le sue idee, pur persuasive, erano criticate per mancanza di evidenze scientifiche. Oggi recenti ricerche su Seoul (2015) e su alcune città italiane tra cui Milano (2016) ne hanno confermato per la prima volta le teorie con successo.

Resta comunque una polarizzazione: tra grande pianificazione (“dall’alto”) e micro interventi (“dal basso”), tra disegno complessivo della città e “agopunture” urbane, tra grandi programmi a lungo termine e forte domanda di spazio pubblico e di condivisioni e relazioni più immediate.

 

Ovviamente entrambi i poli sono necessari e vanno integrati tra loro: a fronte delle nuove sfide poste dalle città contemporanee, i piccoli processi incrementali non sempre sono adeguati alla portata e all'urgenza dei bisogni, e misure più dirette e ambiziose sono richieste.

Anche questo è stato il grande tema della conversazione che si è svolta nei nostri spazi: di cui i passaggi dei nostri ospiti, qui riportati, non sono che un piccolo assaggio. Per la versione completa, vi rimandiamo al prossimo Position Paper.

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