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Tra le alte torri abbiamo costruito dei ponti
13/1/2020
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Silos & Empires dicono gli inglesi di quelle organizzazioni verticalizzate in cui ogni ramo d’azienda è un piccolo regno che si occupa del suo settore di riferimento, orgogliosamente autonomo nella torre dei propri saperi e competenze iperspecializzati e talvolta sospettoso nelle relazioni trasversali.

Lombardini22 è di certo una struttura (anche) a silos, e del resto gli specialismi esistono e sono strategicamente alimentati: siamo Urban & Buinding, Retail, Engineering & Sustainability, siamo Workplace Consultancy & Design, Branding & Communication, Hospitality & Residential Luxury E ancora, siamo Building Physics e Data Center Design & Construction, e inoltre Visual Computational e Neuroscience & Architecture.

Con buone probabilità fioriranno specialismi nuovi e sempre più focalizzati e approfonditi. Visto di profilo, e da lontano, tutto ciò potrebbe assomigliare a un cluster di torri. Ma se avviciniamo lo sguardo vediamo che tra le torri abbiamo sempre costruito ponti, in quota e ad altezze diverse, passaggi, connessioni e attraversamenti orizzontali fissi e mobili.

Uniamo punti, interni ed esterni.

Lo facciamo nella pratica professionale – d’altra parte è il nostro DNA – offrendo al mercato ‘pacchetti’ integrati di competenze e servizi diversi e complementari, e lo facciamo a livello istituzionale, introducendo internamente gruppi di lavoro e attività di formazione trasversali.

Istituzionalmente è stata avviata, ormai da due anni,un’attività di coaching con un processo di formazione su quelle che i bocconiani chiamano soft skills , cioè tutte quelle competenze umane e sociali che aiutano il dialogo e la comunicazione. Il format prevede un’alternanza tra momenti di colloquio individuale e momenti di formazione di gruppo su diversi temi – la negoziazione, la relazione ecc. – e in questo modo si è arrivati finora a formare tre gruppi trasversali di circa sessanta persone.

“Sono pillole didattiche – dice Franco Guidi – che chiamiamo ‘formazione assistita’, un po’ come la pedalata assistita, perché non è pensabile che con pochi incontri e colloqui ci si possa trasformare magicamente in talenti della relazione! Allora l’idea è che ognuno sia stimolato e faccia leva su queste informazioni, ma poi si eserciti e le pratichi nella vita quotidiana”.

Poi c’è il livello informale, le iniziative di auto formazione che emergono, come si suol dire, ‘dal basso’ e si sviluppano spontaneamente all’interno della comunità: autogestite, sostenute e incoraggiate.

Se siamo in trecento e ognuno racconta una cosa nuova, si può dar vita a un congegno che diventa un incredibile arricchimento per tutti

Questo è il manifesto della Midweek Madness, la “follia” di metà settimana che chiama a raccolta periodicamente i lombardiniani per condividere contenuti che vanno aldilà della routine lavorativa quotidiana. Partita sulle prime in sordina e quasi in punta di piedi, ha iniziato a occupare durante l’ora di pranzo il sottotetto della palazzina di via Lombardini 22, l’affaccio su strada della factory, per poi prendere piede e migrare in diversi punti: il cosiddetto “unplugged”, i gradoni della piazza all’ingresso e altri ancora, fino a generare un effetto sorpresa sui luoghi di volta in volta deputati. L’idea nasce dai più giovani che vogliono mantenere fluido lo spirito di ricerca e apprendimento organizzando incontri e letture su argomenti diversi: tesi di laurea, lezioni universitarie, esperienze all’estero, storie di startup, temi tecnici (sull’impiantistica, sui diagrammi), anche ospitando professionisti esterni ed esperti interni.

Si creano così dei gruppi che ruotano nel tempo e si coalizzano per interessi, che attraversano le diverse business unit mettendole in relazione tra loro secondo schemi non formalizzati, e a loro volta tendono a diventare essi stessi comunità (si possono aggiungere altre e diverse iniziative trasversali: corsi di inglese, palestra, ‘fantacalcio’ e così via).

Quanto più ognuno diventa attore di questi processi, tanto più si consolida un senso di appartenenza e di gratificazione, personale e collettivo.

Lombardini22 si è configurata con strutture organizzative per business, per tipologia di servizio – che tuttora sta creando e affinando –attraverso gruppi di persone che si rivolgono direttamente a un mercato di riferimento, ne capiscono le logiche e, in qualche modo, vi si adattano con efficacia.

Tutte le iniziative descritte intersecano l’organismo strutturato e ne connettono i diversi punti in modo laterale e anche interstiziale. Si potrebbe dire che configurano una buffer zone organizzativa? Non precisamente, piuttosto concorrono a fare di Lombardini22 una grande cross zone complessiva, e tuttavia condividono con la prima diverse caratteristiche.

Attingendo liberamente da Paolo Venturi e Flaviano Zandonai [1], la trasversalità operativa di questa cross zone scalare è un presidio che, non riguardando una singola unità organizzativa ma attraversando il sistema nel suo complesso, può dare luogo a potenziali momenti di innovazione anche inattesi; articola una serie di percorsi che coinvolgono persone e competenze diverse, dove le dinamiche formali si alleggeriscono per far prevalere altre modalità: sperimentalismo, learning by doing, fertilizzazione incrociata; genera forme di apprendimento (e di produzione) inter-settoriale, valorizzando l’intelligenza collettiva tanto quanto le singole competenze tacite; riconosce come nucleo organizzativo il team working e i modelli peer-to-peer.

Ma soprattutto, rafforza un sentiment comunitario generale, di cura delle persone, di rinforzo collettivo: si impara orizzontalmente, si coltivano rapporti umani incrociati, si sta (e si lavora) meglio.


[1] Il concetto di buffer zone organizzativa è descritto nel libro di P. Venturi e F. Zandonai, Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, EGEA, Milano 2019.

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January 13, 2020
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Silos & Empires dicono gli inglesi di quelle organizzazioni verticalizzate in cui ogni ramo d’azienda è un piccolo regno che si occupa del suo settore di riferimento, orgogliosamente autonomo nella torre dei propri saperi e competenze iperspecializzati e talvolta sospettoso nelle relazioni trasversali.

Lombardini22 è di certo una struttura (anche) a silos, e del resto gli specialismi esistono e sono strategicamente alimentati: siamo Urban & Buinding, Retail, Engineering & Sustainability, siamo Workplace Consultancy & Design, Branding & Communication, Hospitality & Residential Luxury E ancora, siamo Building Physics e Data Center Design & Construction, e inoltre Visual Computational e Neuroscience & Architecture.

Con buone probabilità fioriranno specialismi nuovi e sempre più focalizzati e approfonditi. Visto di profilo, e da lontano, tutto ciò potrebbe assomigliare a un cluster di torri. Ma se avviciniamo lo sguardo vediamo che tra le torri abbiamo sempre costruito ponti, in quota e ad altezze diverse, passaggi, connessioni e attraversamenti orizzontali fissi e mobili.

Uniamo punti, interni ed esterni.

Lo facciamo nella pratica professionale – d’altra parte è il nostro DNA – offrendo al mercato ‘pacchetti’ integrati di competenze e servizi diversi e complementari, e lo facciamo a livello istituzionale, introducendo internamente gruppi di lavoro e attività di formazione trasversali.

Istituzionalmente è stata avviata, ormai da due anni,un’attività di coaching con un processo di formazione su quelle che i bocconiani chiamano soft skills , cioè tutte quelle competenze umane e sociali che aiutano il dialogo e la comunicazione. Il format prevede un’alternanza tra momenti di colloquio individuale e momenti di formazione di gruppo su diversi temi – la negoziazione, la relazione ecc. – e in questo modo si è arrivati finora a formare tre gruppi trasversali di circa sessanta persone.

“Sono pillole didattiche – dice Franco Guidi – che chiamiamo ‘formazione assistita’, un po’ come la pedalata assistita, perché non è pensabile che con pochi incontri e colloqui ci si possa trasformare magicamente in talenti della relazione! Allora l’idea è che ognuno sia stimolato e faccia leva su queste informazioni, ma poi si eserciti e le pratichi nella vita quotidiana”.

Poi c’è il livello informale, le iniziative di auto formazione che emergono, come si suol dire, ‘dal basso’ e si sviluppano spontaneamente all’interno della comunità: autogestite, sostenute e incoraggiate.

Se siamo in trecento e ognuno racconta una cosa nuova, si può dar vita a un congegno che diventa un incredibile arricchimento per tutti

Questo è il manifesto della Midweek Madness, la “follia” di metà settimana che chiama a raccolta periodicamente i lombardiniani per condividere contenuti che vanno aldilà della routine lavorativa quotidiana. Partita sulle prime in sordina e quasi in punta di piedi, ha iniziato a occupare durante l’ora di pranzo il sottotetto della palazzina di via Lombardini 22, l’affaccio su strada della factory, per poi prendere piede e migrare in diversi punti: il cosiddetto “unplugged”, i gradoni della piazza all’ingresso e altri ancora, fino a generare un effetto sorpresa sui luoghi di volta in volta deputati. L’idea nasce dai più giovani che vogliono mantenere fluido lo spirito di ricerca e apprendimento organizzando incontri e letture su argomenti diversi: tesi di laurea, lezioni universitarie, esperienze all’estero, storie di startup, temi tecnici (sull’impiantistica, sui diagrammi), anche ospitando professionisti esterni ed esperti interni.

Si creano così dei gruppi che ruotano nel tempo e si coalizzano per interessi, che attraversano le diverse business unit mettendole in relazione tra loro secondo schemi non formalizzati, e a loro volta tendono a diventare essi stessi comunità (si possono aggiungere altre e diverse iniziative trasversali: corsi di inglese, palestra, ‘fantacalcio’ e così via).

Quanto più ognuno diventa attore di questi processi, tanto più si consolida un senso di appartenenza e di gratificazione, personale e collettivo.

Lombardini22 si è configurata con strutture organizzative per business, per tipologia di servizio – che tuttora sta creando e affinando –attraverso gruppi di persone che si rivolgono direttamente a un mercato di riferimento, ne capiscono le logiche e, in qualche modo, vi si adattano con efficacia.

Tutte le iniziative descritte intersecano l’organismo strutturato e ne connettono i diversi punti in modo laterale e anche interstiziale. Si potrebbe dire che configurano una buffer zone organizzativa? Non precisamente, piuttosto concorrono a fare di Lombardini22 una grande cross zone complessiva, e tuttavia condividono con la prima diverse caratteristiche.

Attingendo liberamente da Paolo Venturi e Flaviano Zandonai [1], la trasversalità operativa di questa cross zone scalare è un presidio che, non riguardando una singola unità organizzativa ma attraversando il sistema nel suo complesso, può dare luogo a potenziali momenti di innovazione anche inattesi; articola una serie di percorsi che coinvolgono persone e competenze diverse, dove le dinamiche formali si alleggeriscono per far prevalere altre modalità: sperimentalismo, learning by doing, fertilizzazione incrociata; genera forme di apprendimento (e di produzione) inter-settoriale, valorizzando l’intelligenza collettiva tanto quanto le singole competenze tacite; riconosce come nucleo organizzativo il team working e i modelli peer-to-peer.

Ma soprattutto, rafforza un sentiment comunitario generale, di cura delle persone, di rinforzo collettivo: si impara orizzontalmente, si coltivano rapporti umani incrociati, si sta (e si lavora) meglio.


[1] Il concetto di buffer zone organizzativa è descritto nel libro di P. Venturi e F. Zandonai, Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, EGEA, Milano 2019.

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January 13, 2020
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