L'impatto sugli spazi di lavoro
Data Centers of the future are here

Lo spazio, nello Smart working, ha fatto leva su uffici sempre più collaborativi e integrati con la città, su luoghi di lavoro “activity based” e cioè calibrati sulle esigenze specifiche di differenziate attività e modalità lavorative, sull’espansione inarrestabile dei Coworking, nati dal basso da singoli professionisti e poi diventati vere e proprie imprese di esperienze di lavoro, su uffici On Demand gestiti da piattaforme online che dispongono di spazi di lavoro di qualsiasi genere e dimensione e per qualsiasi lasso di tempo, su luoghi eterogenei che si articolano fin negli interstizi urbani e alimentano un mixed use di interazioni sociali, intellettuali, commerciali, e quindi sul crescente fenomeno dei third place come luoghi sempre più coinvolti in attività che mescolano work e leisure.
Una costellazione di contenuti, quindi, che comprende anche i temi dello sharing, della condivisione e ibridazione di beni e servizi, dell’incoraggiamento a “collisioni casuali” e non programmate tra persone e business diversi (teorizzate come feconde e produttive), della mobilità interna ed esterna ai luoghi di lavoro.
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L’impatto del coronavirus su tutto ciò è dirompente: i third place, termine coniato dal sociologo americano Ray Oldenburg nel 1989 per definire i luoghi che non sono né casa né ufficio, sono temporaneamente congelati, mentre i first (le abitazioni) e i second (i luoghi di lavoro) si sono sovrapposti (o meglio i secondi si sono installati, armi e bagagli, nei primi). Negli Stati Uniti, allo stato attuale sono 817 (ma crescono ogni giorno) le società tecnologiche presenti nell’elenco di “stayinghome.club” – una sorta di albo del WFH (Work From Home) – perché hanno cambiato modo di lavorare a causa del Covid-19: di queste 443 impongono il lavoro da casa e 336 lo incoraggiano; le Università sono 53 e stanno attivando il remote teaching in 32.
In Italia, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2019 gli smart worker erano circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018. Oggi sono raddoppiati di colpo, anche triplicati in alcune realtà più attrezzate (per fare un esempio che ci riguarda, in Lombardini22 siamo passati da 80 a 270 persone in remoto su un totale di 300 professionisti).
Già il 2 febbraio Bloomberg descriveva questo fenomeno come “il più grande esperimento di telelavoro al mondo”, poiché è vero che nella grande maggioranza dei casi di telelavoro si tratta, più che di Smart working vero e proprio.
Tuttavia un boom a così grande scala, che è il dato più contingente che stiamo vivendo, è un acceleratore di processi di cambiamento che avrà un impatto a medio termine non solo sulla bipolarità semplice dell’opzione “casa/ufficio tradizionale” ma su tutta la più ampia gamma di possibilità che, secondo le parole di Chris Kane (Six Ideas), è definibile come “OmniChannel Workplace”, sollevando una serie di questioni e incertezze sull’universo del lavoro cui siamo stati abituati, e delle relazioni ad esso connaturate.
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