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Il Retail che crea valore

Data Centers of the future are here

Nuovi format in città
26/5/2017
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Premessa

È un dato di fatto che il Retail sia divenuto nel corso degli anni un vero e proprio hub sociale, teatro di esperienze e d’incontri che muovono da bisogni sempre più sofisticati. Luogo talvolta riconducibile a un centro commerciale, talvolta a un outlet cittadino diffuso, il Retail è comunque una destinazione in cui vivere situazioni che vanno ben oltre la pura necessità di acquisto di beni e servizi.

Ma quali sono le macrotendenze in atto? E in quale misura il mondo della progettazione può contribuire a sviluppare concept che accrescano l’accoglienza, il comfort e quindi il valore di questi luoghi?

Per Adolfo Suarez – partner Lombardini22 e director L22 Retail – “aggiungere valore” nel Retail è un tema da intendere in modo esteso, trasversale, posizionando il concetto di valore in un quadro integrato, una “big picture” (o “greater picture”) che sposti la disciplina in un contesto più ampio: ascolto di competenze diverse, laterali (sociologia, antropologia, neuroscienze) e anche non specialistiche come somma di elementi che interagiscono tra loro e stimolano un continuo aggiornamento. Valore, anche, da non limitare a un’ottica economicista, ma da allargare a connotazioni civili, sociali, culturali e urbane in senso lato per avvicinare gli user offrendo loro servizi sempre più ampi all’interno di un quadro coerente.

Si tratta quindi di guardare in prospettiva, senza esporre solo competenze consolidate, ma ponendosi la domanda: come aggiungere competenze nuove?

È questa l’equazione aperta che definisce lo scopo delle conversazioni di Lombardini22.

Spazi Lombardini22

1. Retail come driver della rigenerazione urbana

Il Retail è sempre più al centro di quei processi di riqualificazione per cui la città diventa Outlet Village e il commercio l’elemento di rivitalizzazione di intere aree metropolitane. Il rapporto Retail/Città è un fenomeno molto indagato negli ultimi dieci anni: percorriamone, in modo non esaustivo, tre passaggi.

Step #1 | 2006

[tratto da: “Architetture di rara bellezza. Documenti del Festival dell’Architettura 2006”, 23-29 ottobre, Parma-Reggio Emilia-Modena]

Era già consolidata la lettura dei centri commerciali come luoghi in cui si registra al massimo grado la rappresentazione delle relazioni primarie della città in una contaminazione tra architettura e sistema mediatico.

Dagli inizi nordamericani degli anni Cinquanta – nei progetti di Victor Gruen, John Graham, Ketchum-Girui and Sharp, Perkins & Will, Grassold-Johnson & Associates, Welton Becket & Associates, Mies van der Rohe – con l’elaborazione di veri e propri “archetipi”; a progetti storici che, partendo dai temi dell’accessibilità e dei parcheggi, introducevano cluster di terziario, cultura e soprattutto shopping center per la rifondazione del centro città (Victor Gruen per Fort Worth e per Dallas nel 1956, Louis I. Kahn dal 1952 al 1962 per il centro di Philadelphia); all’esplosione dimensionale degli anni 1980, nelle forme accresciute dei centri commerciali regionali (che nel nordamerica generavano un prodotto complessivo di 615 miliardi di dollari nel 1988, rappresentando più della metà delle vendite al dettaglio e oltre 7,5 milioni di nuovi posti di lavoro); fino ai recenti sviluppi di una tipologia funzionale sempre più complessa e in grado d’influenzare l’intero fenomeno di espansione urbana: i centri commerciali continuano a dare forma a grandi impianti extraurbani ma, anche, si inseriscono sempre più nei processi di sostituzione del tessuto centrale della città.

Lo studio del fenomeno ha dato luogo, allora, alla proposta di quattro categorie di analisi dell’evoluzione dei centri commerciali e della loro complessità tipologico-figurativa, dovuta all’azione dei nuovi modelli sociali, economici e di marketing del capitalismo avanzato:

  • involucro protettivo: la costruzione di un immaginario
  • nuove polarità urbane: edifici articolati per parti
  • simulazione urbana
  • coinvolgimento della città

Il fine dell’analisi era un’auspicabile riconversione dell’architettura del centro commerciale verso una definita appartenenza al paesaggio urbano.

Step #2 | 2009

[tratto da: Laboratorio Permanente, “Un manifesto proattivo dei luoghi del consumo”]

Quali sono oggi i luoghi delle identità collettive?

Oggi la storia e il senso culturale dei luoghi sono ridotti prevalentemente a immagini, a “luoghi della memoria” (Augè), più che a luoghi vivi della socialità e dell’identità contemporanea.

Oggi gli spazi pubblici tendono a essere assorbiti dai centri commerciali, e i nuovi centri commerciali si configurano come spazi per forme di socialità e di identità deboli, provvisorie, legate ai piaceri e all’immaginario del mondo dei consumi. I loro spazi sono percepiti come diversi da quelli quotidiani: risultano attraenti, spettacolari, magnetici. Sono frequentati principalmente per stare insieme con gli altri e avere esperienze estetiche e sensoriali. Tradizionalmente autonomi rispetto alla città, hanno sempre cercato di ricreare al loro interno uno spazio che simuli la città, senza però prendere gli aspetti negativi di quest’ultima: una delle strategie della commercializzazione dei loro spazi (in quanto spazi pubblici) consiste nella simulazione nostalgica di ciò che nell’immaginario collettivo costituisce un luogo, o meglio il simbolo del luogo.

Oggi, al termine classico di “nonluogo” (Marc Augè), si preferisce usare per i centri commerciali “superluogo”, dove il prefisso “super” è ascrivibile al suo valore simbolico. I superluoghi si inseriscono in questo spazio ideale, nel territorio della globalizzazione in cui le identità dei luoghi rivelano confini sempre più incerti. Sfumatura che riguarda anche i confini, prima in qualche misura consolidati, tra centro commerciale e tessuto urbano: è il caso dell’aggregato commerciale di Gino Valle, a Milano, un sistema che non è più il box che chiude ogni relazione con la città, ma si integra con esso sviluppando dall’interno viali pedonali, piazze coperte e portici aprono viste prospettiche.

Piazza Gino Valle, Milano

Lo stesso fenomeno può anche produrre un’inversione, dove non è più l’outlet a prendere le esperienze della città, ma è la città che assorbe le esperienze da questi superluoghi: la riqualificazione di via Magolfa, sempre a Milano, è un progetto privo di spazi commerciali (sono quasi esclusivamente residenze) ma che di fatto assorbe le esperienze del villaggio commerciale. Si può dire che è una parte di città costruita sul modello estetico del commercio.

Step #3 | 2014

[tratto da: Bruzzese, Tamini, “Servizi commerciali e produzioni creative. Sei itinerari nella Milano che cambia”, Bruno Mondadori, Milano 2014]

La fusione tra sistemi Retail e rigenerazione urbana è un dato ormai acquisito.

Gli autori lo indagano in una ricerca sui cambiamenti e le evoluzioni della città di Milano attraverso sei itinerari tra centro e periferia (dal quartiere Isola a Porta Nuova, da Bovisa a Dergano, da Porta Genova a San Cristoforo, da via Dante e Cordusio a corso Vittorio Emanuele ecc.), integrando il tema dei servizi commerciali con quello delle industrie creative: un interessante cortocircuito tra ambiti solitamente distinti i quali, insieme, possono produrre un inedito valore aggiunto aprendo altre prospettive sulla qualità urbana.

La chiusura della ricerca è in realtà una riapertura del discorso secondo quattro parole chiave:

  • Distrettualità
  • Riuso
  • Centralità
  • Integrazione

Parole stimolanti, oggi, per qualsiasi dibattito sulla città, la forma dei suoi spazi, la rivitalizzazione delle sue funzioni e dei loro usi collettivi. E particolarmente interessante è la “distrettualità”, un concetto che ricorre anche alla scala interna dei centri commerciali per alimentare nuove strategie attrattive.

1.2 City Outlet Paris

In questo panorama è veramente interessante il caso di City Outlet Paris: un city outlet moderno che gioca un ruolo centrale nel processo di trasformazione e rilancio di una grande area a nordest di Parigi. Ne abbiamo parlato con Mireia Rodriguez Burguera (AD di ROS Retail Outlet Shopping, società di gestione specializzata negli outlet):

“Gli outlet si stanno evolvendo. Nati negli anni Venti del Novecento come piccole appendici delle fabbriche in cui vendere le rimanenze di magazzino, si sono via via trasformati in villaggi fuori città, con architetture imitative, poi in occasioni di rivitalizzazione di vecchi borghi in declino (com’è il caso di City Outlet Bad Münstereifel, in Germania, anch’esso gestito da ROS) ed ora, per la prima volta, possono diventare pienamente urbani: è il caso di Parigi”.

Render City Outlet Paris

City Outlet Paris si inserisce in un quadro di rigenerazione della banlieue a nordest di Parigi che il NYT ha definito la “Brooklyn francese”: banche, uffici, marchi importanti vi stanno già spostando le loro sedi. È un progetto ampio in cui l’outlet non è il primo motore ma è sicuramente il maggior attrattore di persone, insieme con il parco biotecnologico che si sta sviluppando: si prevedono 4 milioni di visitatori l’anno.

Come attrarre le persone?

“Innanzitutto c’è l’accessibilità: è il primo outlet raggiungibile in metropolitana, e questo determina la composizione dei visitatori (e quindi dei marchi presenti) perché attrarrà anche ragazzi di 15 anni che ancora non guidano.

Ma poi la discriminante è offrire esperienza: attrarre non solo con i brand, ma con tutto l’ambiente e i suoi servizi. City Outlet Paris offre un’esperienza reale, non “disneylandizzata”: la memoria del luogo – ex fabbrica e laboratori della Sanofi i cui spazi non erano adatti al Retail – è preservata nel suo ‘sapore’ storico, vi si appoggiano nuovi volumi dichiaratamente diversi (vetro, metallo). E tutto si integra con il quartiere come un vero brano di città che deve competere con una grande metropoli come Parigi. La competizione non si gioca solo sui prezzi, ma sulla ricchezza dell’offerta – anche di ristorazione (oltre 15 ristoranti) a servizio di tutto il quartiere, di chi ci abita e lavora, perché aperti oltre l’orario dell’outlet – e, importante, sulla sua sicurezza e fluidità. Quindi aree gioco protette per i bambini, facilità di parcheggio, pulizia, ordine, una segnaletica coordinata: tutti elementi che concorrono a una percezione pienamente urbana, ma rilassante e rassicurante”.

2. Retail rigenerato: nuovi format di ampliamento, ristrutturazione, riconfigurazione dei centri commerciali tradizionali

Non solo gli outlet, anche i centri commerciali tradizionali stanno cambiando, per composizione, dimensioni e destinazione.

Ne abbiamo parlato con Dino Serge Gandolfi (Carrefour Property Italy).

“Le grandi superfici degli anni Novanta destinate all’ipermercato si stanno riqualificando, riducendosi e accogliendo nuovi player (Primark, per esempio), integrando il mondo digital, la ristorazione, e affiancando servizi e occasioni di consumo al loro interno: un interno più caldo, non anonimo, che si basa su piccoli formati più vicini a un approccio retail che a quello della grande distribuzione”.

Carrefour Market, Parigi

Carrefour condivide, con City Outlet Paris, due concetti fondamentali:

1) l’integrazione con la città:

“Guardiamo al mondo urbano come contesto di sviluppo di negozi che non sono solo negozi, ma luoghi di servizi, opportunità e incontri. A Milano, per esempio, i Carrefour Express Urbanlife: progetti di 450 mq in cui è incorporato lo stesso investimento di un punto vendita di 1.000 mq. È un’altra filosofia, ed è un test: una specie di laboratorio per testare i ritorni d’investimento… Carrefour per prima ha inaugurato il processo di avvicinamento alla città con una offerta trasversale e nuovi formati per la prossimità”.

2) il valore dell’esperienza:

“Attraverso lo sviluppo di nuove interpretazioni del format Ipermercato (Carugate e Nichelino), nuovi cluster per i Supermercati (Gourmet, Attrazione e Urbano) stiamo proponendo assortimenti più vicini ai clienti, forme di contatto più diretto. Anche offrendo servizi al cittadino per le pratiche della quotidianità (punti manpower, pagamento bollette etc.). Oggi le attrezzature si sono evolute, e anche la logistica, ed è più facile liberare spazio, avere corsie più ampie, scaffali più ergonomici, e aumentare gli spazi comuni per offrire momenti di sosta, aree di riposo con iPad dove ordinare libri, fare programmi di dieta con attenzione ai mondi bio, vegan, per intercettare anche quei segmenti di mercato”.

Food, quindi, ma anche altre forme di attrazione e intrattenimento:

“In Spagna, a Palma di Maiorca, abbiamo piscine a onde, pareti per arrampicata. Sono investimenti colossali, in Italia non ci siamo ancora riusciti… Il motore primario è sempre il prezzo, poi è importante il contorno ambientale e, oggi più di qualche tempo fa, ciò che chiamiamo “percorso cliente”: curarlo da quando arriva (segnaletica, parcheggio, orientamento) fino al percorso di ritorno. Oggi c’è un’attenzione sempre maggiore per fare la differenza con Amazon Prime…

L’obiettivo è infatti attrarre la gente di persona e riuscire a trattenerla più a lungo, in forme conviviali e in luoghi confortevoli come le nostre case, in antitesi all’e-commerce e al suo anonimato!”

I nuovi format sono quindi contraddistinti da un aumento della componente ristorazione, della food experience, del leisure, dell’active entertainment. Sempre più complessi e differenziati, moltiplicano le loro forme di attrazione per valorizzare la presenza fisica, corporea, all’interno degli shopping mall e contrastare il commercio elettronico.

 

E-commerce: principale imputato della crisi dei centri commerciali?

Un recente caso, quello di Westfield Montgomery nel Maryland – il cui sviluppatore con sede centrale in Australia è considerato l’artefice di alcune pietre miliari del commercio degli ultimi anni (il più noto è forse il Westfield Stratford di Londra, aperto per i Giochi Olimpici del 2012) – ha evidenziato cinque trend (o contromisure):

1) Districting: creare dei distretti. Fino a oggi una delle strategie più diffuse dai centri commerciali era di disperdere intenzionalmente i negozi simili attraverso la galleria commerciale… affinché chi fosse interessato a quella categoria di prodotti attraversasse tutto il mall. Ora il cambio di rotta è: tutti i marchi simili raggruppati in zone delimitate, perché diventa fondamentale non far perdere tempo ai clienti (che rafforzerebbe la tentazione di comprare online). La logica del “distretto” si applica anche ai servizi: per esempio affiancare a un’area per il baby sitting a una serie di negozi dedicati ai vestiti per l’infanzia.

2) Ristorazione di qualità: nei centri commerciali le food court hanno assunto un’importanza sempre maggiore, anche in tempi di crisi. La strategia è di alzare la qualità della ristorazione presente. Lo scopo è cambiarne la funzione a veri e propri luoghi di appuntamento, dove i ragazzi possano anche “accamparsi” anche con i loro computer portatili. Nel caso del Westfield Montgomery ci sono catene della categoria “fast-casual” (a metà strada tra un classico fast food e un ristorante con servizio al tavolo tradizionale), con sushi, ristoranti di pesce (Lobster Me) e cucina mediterranea (Cava Grill).

3) Innovazione nei parcheggi (sempre per far risparmiare tempo): guide luminose con luci attivate da sensori guidano i consumatori fino agli spazi vuoti; prevalenza di scale mobili, più veloci degli ascensori… Gli scenari futuri, tuttavia, prevedono una diminuzione dei posti per parcheggi, grazie all’aumento di auto che si guidano da sole e che lasceranno i clienti per tornarsene “a casa” (o negli spazi pubblici nel caso del car sharing).

4) Unicità: rendere la visita a un centro commerciale un’esperienza memorabile e non replicabile. Per questo è diventato centrale creare dei luoghi che abbiano caratteristiche distintive da tutti gli altri. In altri termini, per gli operatori significa mettere più impegno nel creare stili completamente diversi da un centro all’altro, a costo di rinunciare alle economie di scala che si potrebbero avere ricorrendo a un solo concept design (con gli stessi materiali) per diverse location.

5) Connettività: moltiplicare prese elettriche e porte Usb, permettere ai clienti di ricaricare cellulari, tablet e altri dispositivi, sviluppare reti wi-fi free e attive fin dal parcheggio). Oggi i consumatori sono “omnichannel shopper”: bisogna permettere loro di mescolare le esperienze di acquisto fisiche e digitali (usando i coupon sugli smartphone, comparando i prezzi o interagendo sui social network con selfie nei camerini etc.).

Westfield Montgomery, Maryland

Ma allora, è davvero Internet il pericolo principale?

Marco Cuppini (direttore centro studi e comunicazione GS1 Italy | Indicod-Ecr):

“I mall americani sono sicuramente in crisi e il primo imputato è Internet … Ma non è certo l’unico. Quella che viene messa in crisi è la ‘medietà’ del centro commerciale, nato come spazio in cui vendere tutto sotto lo stesso tetto: largo consumo per tutti e prezzi bassi. Oggi non è più possibile, a causa della maggiore segmentazione della società”.

Fuga dalla “medietà”

In questo senso vanno letti sia il lavoro sulla ristorazione, con il passaggio dalla semplice “food court” alla più sofisticata “dining terrace”, sia la volontà di differenziare ogni singolo centro commerciale.

Fabrizio Valente (partner fondatore di Kiki Lab-Ebeltoft Italy):

Differenziazione

Introdurre negozi indipendenti locali accanto alle note catene diffuse a livello nazionale o internazionale. Una realizzazione esemplificativa è il Bikini Berlin, nella capitale tedesca: “Il Bikini è un centro commerciale urbano di nuova generazione. Segue l’attuale tendenza consistente nel realizzare centri un po’ più piccoli, in location meno periferiche, costruiti recuperando aree dismesse e inserendo un mix di insegne più o meno affermate. Nel Bikini Berlin, che ha una superficie di poco più di 20 mila metri quadrati, su 80 insegne 20 sono pop up store (negozi temporanei), con contratti da 3 a 6 mesi. Questo crea la possibilità per i centri commerciali di evolversi con agilità”.

Bikini Berlin, Berlino

Gestione modulare rapidamente modificabile

“Il centro Shoreditch di Londra, in un’area dismessa delle ferrovie britanniche, ospita un mini centro commerciale fatto solo di container. Ci sono anche marchi commerciali, come Nike, ma per la maggior parte si tratta di start up di giovani”.

Agganciarsi al tempo libero

“A partire dalle palestre, come nel caso di Canary Wharf, sempre a Londra, che ospita un grande centro sportivo destinato soprattutto ai pendolari, fino ad arrivare, come nel caso di un mall fuori Parigi, a ospitare un parco avventura per ragazzi (il “leisure” tocca poi i picchi massimi negli Emirati Arabi, con acquari giganteschi, piste da pattinaggio, da sci etc…)”.

E infine… la ricorrente ossessione: i Millennial

“Tra le aree ibride che si stanno sviluppando ci sono gli spazi di co-working all’interno dei negozi: il tema del lavoro è un valore centrale, un gruppo di Tlc tedesco ha creato uno spazio, nel suo negozio principale, in cui i ragazzi possono condividere uno spazio per lavorare…; e poi l’incrocio con i social media… perché il consumatore non fa più differenza tra i vari canali, non è più propenso al fisico o al digitale, li vuole entrambi a seconda dell’occasione: vedi fenomeni come lo showrooming (vedere i prodotti nel negozio fisico e poi comprarli a meno online) click and collect (l’ordine online di prodotti che poi si ritirano in negozio)”.

 

Un trend primario: l’integrazione tra spazio fisico e spazio virtuale

[tratto da “Elle Decor | Concept Store | The new shopping experience”, allestimento curato in occasione della Milano Design Week 2017, Palazzo Bovara, 3-28 aprile]

Partendo dall’indagine di Future Concept Lab, un concept store che mantiene gli elementi di base che contraddistinguono oggi un negozio, ma li reinventa integrandoli con esperienze digitali. È il punto di incontro tra offline e online, dove la fisicità degli oggetti dialoga con una digital experience che il consumatore gestisce personalizzando lo spazio in cui si muove, sia esso reale o virtuale.

Lettori digitali, sensori di prossimità che attivano le vetrine trasformandole in interfacce video, motion pictures, occhiali olografici, proiezioni di effetti luminosi e interazioni con il proprio smartphone accompagnano il visitatore in un ambiente di realtà aumentata, nel quale però non manca il momento di interazione personale con uno specialist dello store (per approfondimenti e suggerimenti): e guarda caso, ciò avviene sul Playtable Coffee, davanti a una tazzina di caffè…

… quindi: Food (et al.)

Come in un percorso circolare, siamo tornati al food (o più precisamente, nell’ultimo caso citato, al drink): sembra, cioè, che si confermi ancora questo il veicolo privilegiato, nell’esperienza dello spazio pubblico del consumo, per un sempre sano ritorno sul terreno fisico delle relazioni.

Ma anche altri input sono stati toccati: ognuno di essi con implicazioni spaziali e progettuali specifiche. Indagarne la ricchezza e le potenzialità, incrociando saperi e competenze, è il primo step per pensare a nuove strategie, e aggiungere valore al valore del Retail.

*Guarda il video dell'evento "Il retail che crea valore. Nuovi format in città" e le foto su Flickr*

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

Scopri l'Universal Design nell'ospitalità

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May 26, 2017
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May 26, 2017

Il Retail che crea valore

Quali sono le macrotendenze in atto e in quale misura il mondo della progettazione può contribuire a sviluppare concept che accrescano l’accoglienza, il comfort e quindi il valore di questi luoghi.
Quali sono le macrotendenze in atto e in quale misura il mondo della progettazione può contribuire a sviluppare concept che accrescano l’accoglienza, il comfort e quindi il valore di questi luoghi.

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Premessa

È un dato di fatto che il Retail sia divenuto nel corso degli anni un vero e proprio hub sociale, teatro di esperienze e d’incontri che muovono da bisogni sempre più sofisticati. Luogo talvolta riconducibile a un centro commerciale, talvolta a un outlet cittadino diffuso, il Retail è comunque una destinazione in cui vivere situazioni che vanno ben oltre la pura necessità di acquisto di beni e servizi.

Ma quali sono le macrotendenze in atto? E in quale misura il mondo della progettazione può contribuire a sviluppare concept che accrescano l’accoglienza, il comfort e quindi il valore di questi luoghi?

Per Adolfo Suarez – partner Lombardini22 e director L22 Retail – “aggiungere valore” nel Retail è un tema da intendere in modo esteso, trasversale, posizionando il concetto di valore in un quadro integrato, una “big picture” (o “greater picture”) che sposti la disciplina in un contesto più ampio: ascolto di competenze diverse, laterali (sociologia, antropologia, neuroscienze) e anche non specialistiche come somma di elementi che interagiscono tra loro e stimolano un continuo aggiornamento. Valore, anche, da non limitare a un’ottica economicista, ma da allargare a connotazioni civili, sociali, culturali e urbane in senso lato per avvicinare gli user offrendo loro servizi sempre più ampi all’interno di un quadro coerente.

Si tratta quindi di guardare in prospettiva, senza esporre solo competenze consolidate, ma ponendosi la domanda: come aggiungere competenze nuove?

È questa l’equazione aperta che definisce lo scopo delle conversazioni di Lombardini22.

Spazi Lombardini22

1. Retail come driver della rigenerazione urbana

Il Retail è sempre più al centro di quei processi di riqualificazione per cui la città diventa Outlet Village e il commercio l’elemento di rivitalizzazione di intere aree metropolitane. Il rapporto Retail/Città è un fenomeno molto indagato negli ultimi dieci anni: percorriamone, in modo non esaustivo, tre passaggi.

Step #1 | 2006

[tratto da: “Architetture di rara bellezza. Documenti del Festival dell’Architettura 2006”, 23-29 ottobre, Parma-Reggio Emilia-Modena]

Era già consolidata la lettura dei centri commerciali come luoghi in cui si registra al massimo grado la rappresentazione delle relazioni primarie della città in una contaminazione tra architettura e sistema mediatico.

Dagli inizi nordamericani degli anni Cinquanta – nei progetti di Victor Gruen, John Graham, Ketchum-Girui and Sharp, Perkins & Will, Grassold-Johnson & Associates, Welton Becket & Associates, Mies van der Rohe – con l’elaborazione di veri e propri “archetipi”; a progetti storici che, partendo dai temi dell’accessibilità e dei parcheggi, introducevano cluster di terziario, cultura e soprattutto shopping center per la rifondazione del centro città (Victor Gruen per Fort Worth e per Dallas nel 1956, Louis I. Kahn dal 1952 al 1962 per il centro di Philadelphia); all’esplosione dimensionale degli anni 1980, nelle forme accresciute dei centri commerciali regionali (che nel nordamerica generavano un prodotto complessivo di 615 miliardi di dollari nel 1988, rappresentando più della metà delle vendite al dettaglio e oltre 7,5 milioni di nuovi posti di lavoro); fino ai recenti sviluppi di una tipologia funzionale sempre più complessa e in grado d’influenzare l’intero fenomeno di espansione urbana: i centri commerciali continuano a dare forma a grandi impianti extraurbani ma, anche, si inseriscono sempre più nei processi di sostituzione del tessuto centrale della città.

Lo studio del fenomeno ha dato luogo, allora, alla proposta di quattro categorie di analisi dell’evoluzione dei centri commerciali e della loro complessità tipologico-figurativa, dovuta all’azione dei nuovi modelli sociali, economici e di marketing del capitalismo avanzato:

  • involucro protettivo: la costruzione di un immaginario
  • nuove polarità urbane: edifici articolati per parti
  • simulazione urbana
  • coinvolgimento della città

Il fine dell’analisi era un’auspicabile riconversione dell’architettura del centro commerciale verso una definita appartenenza al paesaggio urbano.

Step #2 | 2009

[tratto da: Laboratorio Permanente, “Un manifesto proattivo dei luoghi del consumo”]

Quali sono oggi i luoghi delle identità collettive?

Oggi la storia e il senso culturale dei luoghi sono ridotti prevalentemente a immagini, a “luoghi della memoria” (Augè), più che a luoghi vivi della socialità e dell’identità contemporanea.

Oggi gli spazi pubblici tendono a essere assorbiti dai centri commerciali, e i nuovi centri commerciali si configurano come spazi per forme di socialità e di identità deboli, provvisorie, legate ai piaceri e all’immaginario del mondo dei consumi. I loro spazi sono percepiti come diversi da quelli quotidiani: risultano attraenti, spettacolari, magnetici. Sono frequentati principalmente per stare insieme con gli altri e avere esperienze estetiche e sensoriali. Tradizionalmente autonomi rispetto alla città, hanno sempre cercato di ricreare al loro interno uno spazio che simuli la città, senza però prendere gli aspetti negativi di quest’ultima: una delle strategie della commercializzazione dei loro spazi (in quanto spazi pubblici) consiste nella simulazione nostalgica di ciò che nell’immaginario collettivo costituisce un luogo, o meglio il simbolo del luogo.

Oggi, al termine classico di “nonluogo” (Marc Augè), si preferisce usare per i centri commerciali “superluogo”, dove il prefisso “super” è ascrivibile al suo valore simbolico. I superluoghi si inseriscono in questo spazio ideale, nel territorio della globalizzazione in cui le identità dei luoghi rivelano confini sempre più incerti. Sfumatura che riguarda anche i confini, prima in qualche misura consolidati, tra centro commerciale e tessuto urbano: è il caso dell’aggregato commerciale di Gino Valle, a Milano, un sistema che non è più il box che chiude ogni relazione con la città, ma si integra con esso sviluppando dall’interno viali pedonali, piazze coperte e portici aprono viste prospettiche.

Piazza Gino Valle, Milano

Lo stesso fenomeno può anche produrre un’inversione, dove non è più l’outlet a prendere le esperienze della città, ma è la città che assorbe le esperienze da questi superluoghi: la riqualificazione di via Magolfa, sempre a Milano, è un progetto privo di spazi commerciali (sono quasi esclusivamente residenze) ma che di fatto assorbe le esperienze del villaggio commerciale. Si può dire che è una parte di città costruita sul modello estetico del commercio.

Step #3 | 2014

[tratto da: Bruzzese, Tamini, “Servizi commerciali e produzioni creative. Sei itinerari nella Milano che cambia”, Bruno Mondadori, Milano 2014]

La fusione tra sistemi Retail e rigenerazione urbana è un dato ormai acquisito.

Gli autori lo indagano in una ricerca sui cambiamenti e le evoluzioni della città di Milano attraverso sei itinerari tra centro e periferia (dal quartiere Isola a Porta Nuova, da Bovisa a Dergano, da Porta Genova a San Cristoforo, da via Dante e Cordusio a corso Vittorio Emanuele ecc.), integrando il tema dei servizi commerciali con quello delle industrie creative: un interessante cortocircuito tra ambiti solitamente distinti i quali, insieme, possono produrre un inedito valore aggiunto aprendo altre prospettive sulla qualità urbana.

La chiusura della ricerca è in realtà una riapertura del discorso secondo quattro parole chiave:

  • Distrettualità
  • Riuso
  • Centralità
  • Integrazione

Parole stimolanti, oggi, per qualsiasi dibattito sulla città, la forma dei suoi spazi, la rivitalizzazione delle sue funzioni e dei loro usi collettivi. E particolarmente interessante è la “distrettualità”, un concetto che ricorre anche alla scala interna dei centri commerciali per alimentare nuove strategie attrattive.

1.2 City Outlet Paris

In questo panorama è veramente interessante il caso di City Outlet Paris: un city outlet moderno che gioca un ruolo centrale nel processo di trasformazione e rilancio di una grande area a nordest di Parigi. Ne abbiamo parlato con Mireia Rodriguez Burguera (AD di ROS Retail Outlet Shopping, società di gestione specializzata negli outlet):

“Gli outlet si stanno evolvendo. Nati negli anni Venti del Novecento come piccole appendici delle fabbriche in cui vendere le rimanenze di magazzino, si sono via via trasformati in villaggi fuori città, con architetture imitative, poi in occasioni di rivitalizzazione di vecchi borghi in declino (com’è il caso di City Outlet Bad Münstereifel, in Germania, anch’esso gestito da ROS) ed ora, per la prima volta, possono diventare pienamente urbani: è il caso di Parigi”.

Render City Outlet Paris

City Outlet Paris si inserisce in un quadro di rigenerazione della banlieue a nordest di Parigi che il NYT ha definito la “Brooklyn francese”: banche, uffici, marchi importanti vi stanno già spostando le loro sedi. È un progetto ampio in cui l’outlet non è il primo motore ma è sicuramente il maggior attrattore di persone, insieme con il parco biotecnologico che si sta sviluppando: si prevedono 4 milioni di visitatori l’anno.

Come attrarre le persone?

“Innanzitutto c’è l’accessibilità: è il primo outlet raggiungibile in metropolitana, e questo determina la composizione dei visitatori (e quindi dei marchi presenti) perché attrarrà anche ragazzi di 15 anni che ancora non guidano.

Ma poi la discriminante è offrire esperienza: attrarre non solo con i brand, ma con tutto l’ambiente e i suoi servizi. City Outlet Paris offre un’esperienza reale, non “disneylandizzata”: la memoria del luogo – ex fabbrica e laboratori della Sanofi i cui spazi non erano adatti al Retail – è preservata nel suo ‘sapore’ storico, vi si appoggiano nuovi volumi dichiaratamente diversi (vetro, metallo). E tutto si integra con il quartiere come un vero brano di città che deve competere con una grande metropoli come Parigi. La competizione non si gioca solo sui prezzi, ma sulla ricchezza dell’offerta – anche di ristorazione (oltre 15 ristoranti) a servizio di tutto il quartiere, di chi ci abita e lavora, perché aperti oltre l’orario dell’outlet – e, importante, sulla sua sicurezza e fluidità. Quindi aree gioco protette per i bambini, facilità di parcheggio, pulizia, ordine, una segnaletica coordinata: tutti elementi che concorrono a una percezione pienamente urbana, ma rilassante e rassicurante”.

2. Retail rigenerato: nuovi format di ampliamento, ristrutturazione, riconfigurazione dei centri commerciali tradizionali

Non solo gli outlet, anche i centri commerciali tradizionali stanno cambiando, per composizione, dimensioni e destinazione.

Ne abbiamo parlato con Dino Serge Gandolfi (Carrefour Property Italy).

“Le grandi superfici degli anni Novanta destinate all’ipermercato si stanno riqualificando, riducendosi e accogliendo nuovi player (Primark, per esempio), integrando il mondo digital, la ristorazione, e affiancando servizi e occasioni di consumo al loro interno: un interno più caldo, non anonimo, che si basa su piccoli formati più vicini a un approccio retail che a quello della grande distribuzione”.

Carrefour Market, Parigi

Carrefour condivide, con City Outlet Paris, due concetti fondamentali:

1) l’integrazione con la città:

“Guardiamo al mondo urbano come contesto di sviluppo di negozi che non sono solo negozi, ma luoghi di servizi, opportunità e incontri. A Milano, per esempio, i Carrefour Express Urbanlife: progetti di 450 mq in cui è incorporato lo stesso investimento di un punto vendita di 1.000 mq. È un’altra filosofia, ed è un test: una specie di laboratorio per testare i ritorni d’investimento… Carrefour per prima ha inaugurato il processo di avvicinamento alla città con una offerta trasversale e nuovi formati per la prossimità”.

2) il valore dell’esperienza:

“Attraverso lo sviluppo di nuove interpretazioni del format Ipermercato (Carugate e Nichelino), nuovi cluster per i Supermercati (Gourmet, Attrazione e Urbano) stiamo proponendo assortimenti più vicini ai clienti, forme di contatto più diretto. Anche offrendo servizi al cittadino per le pratiche della quotidianità (punti manpower, pagamento bollette etc.). Oggi le attrezzature si sono evolute, e anche la logistica, ed è più facile liberare spazio, avere corsie più ampie, scaffali più ergonomici, e aumentare gli spazi comuni per offrire momenti di sosta, aree di riposo con iPad dove ordinare libri, fare programmi di dieta con attenzione ai mondi bio, vegan, per intercettare anche quei segmenti di mercato”.

Food, quindi, ma anche altre forme di attrazione e intrattenimento:

“In Spagna, a Palma di Maiorca, abbiamo piscine a onde, pareti per arrampicata. Sono investimenti colossali, in Italia non ci siamo ancora riusciti… Il motore primario è sempre il prezzo, poi è importante il contorno ambientale e, oggi più di qualche tempo fa, ciò che chiamiamo “percorso cliente”: curarlo da quando arriva (segnaletica, parcheggio, orientamento) fino al percorso di ritorno. Oggi c’è un’attenzione sempre maggiore per fare la differenza con Amazon Prime…

L’obiettivo è infatti attrarre la gente di persona e riuscire a trattenerla più a lungo, in forme conviviali e in luoghi confortevoli come le nostre case, in antitesi all’e-commerce e al suo anonimato!”

I nuovi format sono quindi contraddistinti da un aumento della componente ristorazione, della food experience, del leisure, dell’active entertainment. Sempre più complessi e differenziati, moltiplicano le loro forme di attrazione per valorizzare la presenza fisica, corporea, all’interno degli shopping mall e contrastare il commercio elettronico.

 

E-commerce: principale imputato della crisi dei centri commerciali?

Un recente caso, quello di Westfield Montgomery nel Maryland – il cui sviluppatore con sede centrale in Australia è considerato l’artefice di alcune pietre miliari del commercio degli ultimi anni (il più noto è forse il Westfield Stratford di Londra, aperto per i Giochi Olimpici del 2012) – ha evidenziato cinque trend (o contromisure):

1) Districting: creare dei distretti. Fino a oggi una delle strategie più diffuse dai centri commerciali era di disperdere intenzionalmente i negozi simili attraverso la galleria commerciale… affinché chi fosse interessato a quella categoria di prodotti attraversasse tutto il mall. Ora il cambio di rotta è: tutti i marchi simili raggruppati in zone delimitate, perché diventa fondamentale non far perdere tempo ai clienti (che rafforzerebbe la tentazione di comprare online). La logica del “distretto” si applica anche ai servizi: per esempio affiancare a un’area per il baby sitting a una serie di negozi dedicati ai vestiti per l’infanzia.

2) Ristorazione di qualità: nei centri commerciali le food court hanno assunto un’importanza sempre maggiore, anche in tempi di crisi. La strategia è di alzare la qualità della ristorazione presente. Lo scopo è cambiarne la funzione a veri e propri luoghi di appuntamento, dove i ragazzi possano anche “accamparsi” anche con i loro computer portatili. Nel caso del Westfield Montgomery ci sono catene della categoria “fast-casual” (a metà strada tra un classico fast food e un ristorante con servizio al tavolo tradizionale), con sushi, ristoranti di pesce (Lobster Me) e cucina mediterranea (Cava Grill).

3) Innovazione nei parcheggi (sempre per far risparmiare tempo): guide luminose con luci attivate da sensori guidano i consumatori fino agli spazi vuoti; prevalenza di scale mobili, più veloci degli ascensori… Gli scenari futuri, tuttavia, prevedono una diminuzione dei posti per parcheggi, grazie all’aumento di auto che si guidano da sole e che lasceranno i clienti per tornarsene “a casa” (o negli spazi pubblici nel caso del car sharing).

4) Unicità: rendere la visita a un centro commerciale un’esperienza memorabile e non replicabile. Per questo è diventato centrale creare dei luoghi che abbiano caratteristiche distintive da tutti gli altri. In altri termini, per gli operatori significa mettere più impegno nel creare stili completamente diversi da un centro all’altro, a costo di rinunciare alle economie di scala che si potrebbero avere ricorrendo a un solo concept design (con gli stessi materiali) per diverse location.

5) Connettività: moltiplicare prese elettriche e porte Usb, permettere ai clienti di ricaricare cellulari, tablet e altri dispositivi, sviluppare reti wi-fi free e attive fin dal parcheggio). Oggi i consumatori sono “omnichannel shopper”: bisogna permettere loro di mescolare le esperienze di acquisto fisiche e digitali (usando i coupon sugli smartphone, comparando i prezzi o interagendo sui social network con selfie nei camerini etc.).

Westfield Montgomery, Maryland

Ma allora, è davvero Internet il pericolo principale?

Marco Cuppini (direttore centro studi e comunicazione GS1 Italy | Indicod-Ecr):

“I mall americani sono sicuramente in crisi e il primo imputato è Internet … Ma non è certo l’unico. Quella che viene messa in crisi è la ‘medietà’ del centro commerciale, nato come spazio in cui vendere tutto sotto lo stesso tetto: largo consumo per tutti e prezzi bassi. Oggi non è più possibile, a causa della maggiore segmentazione della società”.

Fuga dalla “medietà”

In questo senso vanno letti sia il lavoro sulla ristorazione, con il passaggio dalla semplice “food court” alla più sofisticata “dining terrace”, sia la volontà di differenziare ogni singolo centro commerciale.

Fabrizio Valente (partner fondatore di Kiki Lab-Ebeltoft Italy):

Differenziazione

Introdurre negozi indipendenti locali accanto alle note catene diffuse a livello nazionale o internazionale. Una realizzazione esemplificativa è il Bikini Berlin, nella capitale tedesca: “Il Bikini è un centro commerciale urbano di nuova generazione. Segue l’attuale tendenza consistente nel realizzare centri un po’ più piccoli, in location meno periferiche, costruiti recuperando aree dismesse e inserendo un mix di insegne più o meno affermate. Nel Bikini Berlin, che ha una superficie di poco più di 20 mila metri quadrati, su 80 insegne 20 sono pop up store (negozi temporanei), con contratti da 3 a 6 mesi. Questo crea la possibilità per i centri commerciali di evolversi con agilità”.

Bikini Berlin, Berlino

Gestione modulare rapidamente modificabile

“Il centro Shoreditch di Londra, in un’area dismessa delle ferrovie britanniche, ospita un mini centro commerciale fatto solo di container. Ci sono anche marchi commerciali, come Nike, ma per la maggior parte si tratta di start up di giovani”.

Agganciarsi al tempo libero

“A partire dalle palestre, come nel caso di Canary Wharf, sempre a Londra, che ospita un grande centro sportivo destinato soprattutto ai pendolari, fino ad arrivare, come nel caso di un mall fuori Parigi, a ospitare un parco avventura per ragazzi (il “leisure” tocca poi i picchi massimi negli Emirati Arabi, con acquari giganteschi, piste da pattinaggio, da sci etc…)”.

E infine… la ricorrente ossessione: i Millennial

“Tra le aree ibride che si stanno sviluppando ci sono gli spazi di co-working all’interno dei negozi: il tema del lavoro è un valore centrale, un gruppo di Tlc tedesco ha creato uno spazio, nel suo negozio principale, in cui i ragazzi possono condividere uno spazio per lavorare…; e poi l’incrocio con i social media… perché il consumatore non fa più differenza tra i vari canali, non è più propenso al fisico o al digitale, li vuole entrambi a seconda dell’occasione: vedi fenomeni come lo showrooming (vedere i prodotti nel negozio fisico e poi comprarli a meno online) click and collect (l’ordine online di prodotti che poi si ritirano in negozio)”.

 

Un trend primario: l’integrazione tra spazio fisico e spazio virtuale

[tratto da “Elle Decor | Concept Store | The new shopping experience”, allestimento curato in occasione della Milano Design Week 2017, Palazzo Bovara, 3-28 aprile]

Partendo dall’indagine di Future Concept Lab, un concept store che mantiene gli elementi di base che contraddistinguono oggi un negozio, ma li reinventa integrandoli con esperienze digitali. È il punto di incontro tra offline e online, dove la fisicità degli oggetti dialoga con una digital experience che il consumatore gestisce personalizzando lo spazio in cui si muove, sia esso reale o virtuale.

Lettori digitali, sensori di prossimità che attivano le vetrine trasformandole in interfacce video, motion pictures, occhiali olografici, proiezioni di effetti luminosi e interazioni con il proprio smartphone accompagnano il visitatore in un ambiente di realtà aumentata, nel quale però non manca il momento di interazione personale con uno specialist dello store (per approfondimenti e suggerimenti): e guarda caso, ciò avviene sul Playtable Coffee, davanti a una tazzina di caffè…

… quindi: Food (et al.)

Come in un percorso circolare, siamo tornati al food (o più precisamente, nell’ultimo caso citato, al drink): sembra, cioè, che si confermi ancora questo il veicolo privilegiato, nell’esperienza dello spazio pubblico del consumo, per un sempre sano ritorno sul terreno fisico delle relazioni.

Ma anche altri input sono stati toccati: ognuno di essi con implicazioni spaziali e progettuali specifiche. Indagarne la ricchezza e le potenzialità, incrociando saperi e competenze, è il primo step per pensare a nuove strategie, e aggiungere valore al valore del Retail.

*Guarda il video dell'evento "Il retail che crea valore. Nuovi format in città" e le foto su Flickr*

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May 26, 2017
Attualità
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