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E come Empatia

Data Centers of the future are here

Il nuovo valore fondante del marketing mix contemporaneo
28/8/2020
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Marketing e strategie si evolvono insieme alle tendenze e alla natura mutevole dell’industria del design, del retail e del commercio. Prodotti, modelli di business, strategie di marketing, progettisti: tutti ci siamo evoluti e continuiamo a farlo in una direzione comune, in un approccio sempre più incentrato sull’uomo.

Partiamo dalle basi, ovvero le 4P del marketing: product, price, place, promotion (prodotto, prezzo, luogo, promozione). L’ideazione delle 4P risale al 1960, quando Jerome McCarthy inaugurò un modo sistemico di osservare e studiare l’andamento del mercato che prosperò per anni.

Il marketing mix delle 4P identifica efficacemente gli obiettivi di marketing in una dinamica tradizionale, dall’alto verso il basso, guidata dall’industria.

Ma il mondo cambia e anche i consumatori. Il concetto delle 4P non è più applicabile alla realtà in cui viviamo, interconnessa e digitale: il rapporto tra business e utente finale è cambiato profondamente e inesorabilmente.

Oggi grazie a internet il consumatore ha preso il controllo, il pubblico si è spezzettato in microcosmi, le fette di mercato vanno sempre più assottigliandosi, i prodotti rincorrono innovazioni sempre più velocemente. In un contesto accelerato e globale come quello di oggi, in un sistema di comunicazione sempre più avanzato e policentrico, è fondamentale capire le persone (e come cambiano desideri e necessità) e innovare continuamente, anche con l’ausilio del design.

“The age of excellence”

Il business poi, grazie all’assenza di barriere all’entrata, si sta popolando sempre più di nuovi brand di nicchia: attrattivi, interessanti, con un appeal unico. Brand che creano problemi di mindshare, spingendo tutti gli attori, anche i marchi più celebri, a una forte spinta all’innovazione. Stiamo vivendo quella che Mauro Porcini, Chief Design Officer di PepsiCo, definisce “The age of excellence”: ovvero se un’azienda non fa qualcosa di eccellente, presto lo farà un’altra, prendendone il posto. Non c’è più spazio e tempo per soluzioni mediocri. Non catturare l’interesse del consumatore porterà a essere irrilevante nel mondo in rapido cambiamento in cui viviamo. Quello di Porcini è un messaggio positivo, una spinta a cercare nelle metodologie di marketing e di brand building soluzioni e proposte positivi e sostenibili dal punto di vista visivo, sociale, emotivo, intellettuale. La necessità di guadagnarsi l’attenzione trasforma tutti i touchpoint del brand in potenziale contenuto, in occasioni per creare esperienze e relazioni che a loro volta spingono le persone a – per esempio – scattare foto e a condividerle. Lo user-generated content è potente perché reale, autentico, parla di un engagement tra persone e brand. Lo vedremo, è una delle leve sempre più utilizzate dai brand per creare connessioni e relazioni con il proprio pubblico.

Il design ha un ruolo fondamentale perché il progettista è un creatore di senso e di significato, attraverso prodotti, brand, servizi, packaging, ambienti, esperienze. Il design diventa quindi un asset fondamentale nel brand building 2.0.

La progettualità gioca un ruolo chiave anche nel generare innovazione attraverso il design thinking, che combina empatia, strategia e creatività e crea soluzioni che si rivolgono a tutti i livelli visivi, sociali, emotivi e intellettuali. L’empatia serve a riconoscere ciò che è rilevante per il consumatore, a identificare i fattori intangibili e a capire in modo profondo sogni e bisogni delle persone. La strategia è la capacità di riconoscere ciò che è rilevante per l’azienda, per il suo business, la sua visione, la sua cultura. Mettendo quindi insieme ciò che sognano e vogliono le persone con quello che ha senso per l’azienda si identificano nuovi territori di potenziale sviluppo e innovazione. E a quel punto c’è il terzo pilastro: la capacità di creare, che reifica l’idea rendendola condivisibile all’interno dell’azienda, utile per creare dialogo e processi di co-design.

Le 4E

Bisogna stare al passo con i tempi, stare all’interno del mercato per capirlo, ma quando i prodotti hanno un sempre maggiore grado di obsolescenza, gli ambienti si moltiplicano e si frammentano, i ruoli si sovrappongono e non hanno più confini ben definiti, le relazioni si intrecciano e assumono nuove forme, come si sta dietro a tutto? Se il gioco cambia abbiamo bisogno di nuove regole.

Porcini sembra quindi suggerire una risposta chiara: la rimodellazione contemporanea delle 4P implementate dal design thinking.


Affinché tutti possano allinearsi e giocare nelle stesse condizioni, dopo che il cambiamento è avvenuto deve essere formalizzato e questo è ciò che Brian Fetherstonhaugh, Worldwide Chief Talent Officer a The Ogilvy Group, ha fatto con il modello 4E.

Modificando totalmente la prospettiva sul ruolo e sul valore delle 4P, il modello 4E (Experience, Exchange, Everyplace, Evangelism) di Fetherstonhaugh apre il tradizionale modello top-down alle attività bottom-up e ai mondi digitalizzati di oggi. Le 4E sono più interconnesse tra loro che le 4P.

Da Product a Experience

Fetherstonhaugh consiglia di puntare, più che al prodotto in sé, all’esperienza completa che quel prodotto può dare, andando a scoprire tutto il percorso e le motivazioni che spingono un cliente a selezionare un prodotto piuttosto che un altro. Il consumatore sceglie ciò che lo emoziona, più il marchio entra in profondità e più si instaura una relazione, un dialogo destinato a durare nel tempo.

Il commercio è, ora, prima di tutto un business di persone.

Creando delle emozioni e delle sensazioni positive si può creare un legame fra un brand e i consumatori, legame che ha buone probabilità di protrarsi nel tempo. L’emozione, i sensi del consumatore vincono sulla ragione e sulla funzionalità. I brand lavorano quindi sulla narrazione del proprio nucleo valoriale.

Da Price a Exchange

Andare oltre il semplice scambio di denaro, dare un feedback in cambio, ringraziare per l’attenzione dimostrata: tutto questo aggiunge valore.

Il “prezzo” è stato da sempre la misura di scambio tra il bene e il suo acquirente: io ti do un prodotto, tu mi dai il denaro corrispettivo. L’attenzione si è sempre concentrata su questa equazione, e l’obiettivo principale è dunque sempre stato quello di contenere i costi in modo da poter mantenere i prezzi competitivi. Eppure ci siamo persi un pezzo: è necessario essere a conoscenza del valore delle cose e comunicarle al meglio. Come riuscire a ottenere un valore come l’attenzione del consumatore? Come ottenere una cosa preziosa come il suo impegno? È necessario che avvenga uno scambio di valore.

Lo scambio si traduce quindi in questa domanda: Che cosa sei disposto a offrire ai tuoi consumatori in cambio della loro attenzione?

Exchange eleva l’idea di prezzo al di là della transazione in un rapporto reale con il cliente: nell’acquisto si celebra quello scambio narrativo attraverso cui chi compra restituisce valore alla marca partecipando alla grande conversazione digitale e condividendo le proprie scelte.

Da Place a Everyplace

L’e-commerce abbatte i muri dei negozi. Grazie al mobile, è possibile acquistare ovunque ci si trovi e in qualsiasi momento della giornata. Lo spazio e il tempo si espandono, diventano permanenti, sono i consumatori a creare i propri percorsi d’acquisto. I marketers devono dunque comprendere l’intera gamma di percorsi possibili nel raggiungere il proprio target, sfruttando al meglio il potere di un sito, di una pagina Facebook e Instagram, della pubblicità su Google.

Il senso di “everyplace” si traduce anche in una solida presenza sui social, così come nella costruzione di un sito web del proprio brand. Così facendo i potenziali clienti possono essere coinvolti più facilmente per poi essere trasformati in consumatori. La presenza sia nel mondo digitale sia in quello fisico permette diverse forme di scoperta e di interazione con il marchio. Più touchpoint consentono uno scambio di valori più ampio. È emblematico, in modo speculare, l’impegno di Amazon ad aprire negli Stati Uniti negozi fisici per l’acquisto di libri e generi alimentari.

Da Promotion a Evangelism

Quando la mission e l’immagine di un certo marchio regalano un’esperienza davvero stimolante per i consumatori, ora si impegnano a tal punto da condividere il loro entusiasmo con gli altri, attuando di fatto quella che Fetherstonhaugh chiama evangelizzazione. Ma come scatenare l’evangelizzazione? Ogni marchio dovrebbe rappresentare un tema universale, duraturo, e condiviso da molti, che sappia scatenare forti emozioni. Il brand, piuttosto che decantare le proprie doti, dovrebbe sforzarsi di soddisfare i clienti al punto da spingerli a consigliare i prodotti spontaneamente.

Il miglior testimonial per un marchio è il cliente soddisfatto. Quando il consumatore diventa discepolo di un marchio significa che il brand è diventato parte della sua vita e così difendere ciò che ama è una missione, condividerlo è manifestare uno status.

Si attiva attraverso il content marketing, i social media, le relazioni pubbliche tradizionali, i post degli influencer, e attraverso il buon passaparola vecchio stile. Marchi come Apple, Disney, Lego lo sanno molto bene.

La quinta E, l’Empathy

La crisi scatenata dal virus ha rivelato nuovi bisogni, comportamenti e forme di scambio. Abbiamo visto attuarsi in pochi mesi cambiamenti che normalmente avrebbero richiesto decenni per compiersi.

La pandemia ha oltre tutto rivelato la mancanza di empatia radicata nei nostri sistemi sociali, abitativi, lavorativi e urbani. Allo stesso tempo, l’empatia è stata la motivazione per trovare soluzioni creative atte ad alleviare le circostanze che abbiamo condiviso. E ora dobbiamo pensare a come il futuro gestirà le nuove prospettive, la fisicità e lo spazio. Il prossimo passo sarà quello di creare fluidità tra i valori empatici e i valori fisici: l’empatia e la fisicità dovranno trovare nuove relazioni attraverso la progettazione di valori connessi.

Lo abbiamo visto, il commercio è, ora, prima di tutto un business di persone. L’empatia, seppur nascosta e silenziosa, fa parte della natura più profonda di tutte le altre E che abbiamo descritto. Sta a noi farla emergere come valore essenziale in grado di modificare prospettive e approcci, in tutta la filiera.

La chiave di volta è costituita dal legame sempre più stretto tra brand, presa di coscienza, attività economiche e culturali locali, senso di comunità, il coinvolgimento delle persone attraverso metodi di crowdsourcing e similari e attraverso il potenziamento delle comunità locali.

Un progetto, un’operazione di marketing o un business di successo non è la creazione di un singolo punto perfetto. L’obiettivo è diverso, e molto più complesso e ambizioso: sperimentare, ispirare, generare emozioni. Siamo convinti che il sistema olistico di valori empatici è e sarà il nuovo prodotto che commercializzeremo e acquisteremo.

Un esempio significativo? Non una campagna di marketing, ma la filosofia aziendale di un marchio, un’azienda che da subito ha abbracciato il claim One for One.

Nel 2006, lo studente Blake Mycoskie viaggiò attraverso l’Argentina. Lì notò che molti bambini erano privi di una necessità base: un paio di scarpe. Nello stesso anno, tornato negli Stati Uniti, creò un’azienda – TOMS Shoes. Oggi, TOMS si è posizionata come uno dei principali attori nel settore calzaturiero. Ma con una svolta fondamentale, integrando cioè la responsabilità sociale d’impresa nel suo modello di business. Ogni volta che si acquista un paio di scarpe TOMS, infatti vengono donati un paio di scarpe a un bambino bisognoso. Il modello di business di TOMS è semplice, efficace e il suo impatto positivo è stato riconosciuto da tutti. Le persone si connettono con il marchio perché acquistare da TOMS è come indossare un badge che annuncia: “Ho fatto qualcosa per qualcuno”. Riuscire a restituire alla comunità e dare un senso di realizzazione alle persone sono due fattori empatici fondamentali.

L’integrazione di marketing, strategia aziendale, progettualità e design thinking può cogliere appieno le potenzialità ancora inespresse dei sistemi e dei modelli economici in continuo mutamento. La curiosità di scoprire, creare e collegare persone e valori emotivi, fisici, digitali sarà il motore del nuovo marketing.

Quindi, progettisti, marketers, imprenditori, produttori, fornitori e consumatori, siamo pronti a connetterci con il futuro?

Scarica il Position Paper qui

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

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August 28, 2020
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E come Empatia

Marketing e strategie si evolvono insieme alle tendenze e alla natura mutevole dell’industria del design, del retail e del commercio. Prodotti, modelli di business, strategie di marketing, progettisti: tutti ci siamo evoluti e continuiamo a farlo in una direzione comune, in un approccio sempre più incentrato sull’uomo.

Partiamo dalle basi, ovvero le 4P del marketing: product, price, place, promotion (prodotto, prezzo, luogo, promozione). L’ideazione delle 4P risale al 1960, quando Jerome McCarthy inaugurò un modo sistemico di osservare e studiare l’andamento del mercato che prosperò per anni.

Il marketing mix delle 4P identifica efficacemente gli obiettivi di marketing in una dinamica tradizionale, dall’alto verso il basso, guidata dall’industria.

Ma il mondo cambia e anche i consumatori. Il concetto delle 4P non è più applicabile alla realtà in cui viviamo, interconnessa e digitale: il rapporto tra business e utente finale è cambiato profondamente e inesorabilmente.

Oggi grazie a internet il consumatore ha preso il controllo, il pubblico si è spezzettato in microcosmi, le fette di mercato vanno sempre più assottigliandosi, i prodotti rincorrono innovazioni sempre più velocemente. In un contesto accelerato e globale come quello di oggi, in un sistema di comunicazione sempre più avanzato e policentrico, è fondamentale capire le persone (e come cambiano desideri e necessità) e innovare continuamente, anche con l’ausilio del design.

“The age of excellence”

Il business poi, grazie all’assenza di barriere all’entrata, si sta popolando sempre più di nuovi brand di nicchia: attrattivi, interessanti, con un appeal unico. Brand che creano problemi di mindshare, spingendo tutti gli attori, anche i marchi più celebri, a una forte spinta all’innovazione. Stiamo vivendo quella che Mauro Porcini, Chief Design Officer di PepsiCo, definisce “The age of excellence”: ovvero se un’azienda non fa qualcosa di eccellente, presto lo farà un’altra, prendendone il posto. Non c’è più spazio e tempo per soluzioni mediocri. Non catturare l’interesse del consumatore porterà a essere irrilevante nel mondo in rapido cambiamento in cui viviamo. Quello di Porcini è un messaggio positivo, una spinta a cercare nelle metodologie di marketing e di brand building soluzioni e proposte positivi e sostenibili dal punto di vista visivo, sociale, emotivo, intellettuale. La necessità di guadagnarsi l’attenzione trasforma tutti i touchpoint del brand in potenziale contenuto, in occasioni per creare esperienze e relazioni che a loro volta spingono le persone a – per esempio – scattare foto e a condividerle. Lo user-generated content è potente perché reale, autentico, parla di un engagement tra persone e brand. Lo vedremo, è una delle leve sempre più utilizzate dai brand per creare connessioni e relazioni con il proprio pubblico.

Il design ha un ruolo fondamentale perché il progettista è un creatore di senso e di significato, attraverso prodotti, brand, servizi, packaging, ambienti, esperienze. Il design diventa quindi un asset fondamentale nel brand building 2.0.

La progettualità gioca un ruolo chiave anche nel generare innovazione attraverso il design thinking, che combina empatia, strategia e creatività e crea soluzioni che si rivolgono a tutti i livelli visivi, sociali, emotivi e intellettuali. L’empatia serve a riconoscere ciò che è rilevante per il consumatore, a identificare i fattori intangibili e a capire in modo profondo sogni e bisogni delle persone. La strategia è la capacità di riconoscere ciò che è rilevante per l’azienda, per il suo business, la sua visione, la sua cultura. Mettendo quindi insieme ciò che sognano e vogliono le persone con quello che ha senso per l’azienda si identificano nuovi territori di potenziale sviluppo e innovazione. E a quel punto c’è il terzo pilastro: la capacità di creare, che reifica l’idea rendendola condivisibile all’interno dell’azienda, utile per creare dialogo e processi di co-design.

Le 4E

Bisogna stare al passo con i tempi, stare all’interno del mercato per capirlo, ma quando i prodotti hanno un sempre maggiore grado di obsolescenza, gli ambienti si moltiplicano e si frammentano, i ruoli si sovrappongono e non hanno più confini ben definiti, le relazioni si intrecciano e assumono nuove forme, come si sta dietro a tutto? Se il gioco cambia abbiamo bisogno di nuove regole.

Porcini sembra quindi suggerire una risposta chiara: la rimodellazione contemporanea delle 4P implementate dal design thinking.


Affinché tutti possano allinearsi e giocare nelle stesse condizioni, dopo che il cambiamento è avvenuto deve essere formalizzato e questo è ciò che Brian Fetherstonhaugh, Worldwide Chief Talent Officer a The Ogilvy Group, ha fatto con il modello 4E.

Modificando totalmente la prospettiva sul ruolo e sul valore delle 4P, il modello 4E (Experience, Exchange, Everyplace, Evangelism) di Fetherstonhaugh apre il tradizionale modello top-down alle attività bottom-up e ai mondi digitalizzati di oggi. Le 4E sono più interconnesse tra loro che le 4P.

Da Product a Experience

Fetherstonhaugh consiglia di puntare, più che al prodotto in sé, all’esperienza completa che quel prodotto può dare, andando a scoprire tutto il percorso e le motivazioni che spingono un cliente a selezionare un prodotto piuttosto che un altro. Il consumatore sceglie ciò che lo emoziona, più il marchio entra in profondità e più si instaura una relazione, un dialogo destinato a durare nel tempo.

Il commercio è, ora, prima di tutto un business di persone.

Creando delle emozioni e delle sensazioni positive si può creare un legame fra un brand e i consumatori, legame che ha buone probabilità di protrarsi nel tempo. L’emozione, i sensi del consumatore vincono sulla ragione e sulla funzionalità. I brand lavorano quindi sulla narrazione del proprio nucleo valoriale.

Da Price a Exchange

Andare oltre il semplice scambio di denaro, dare un feedback in cambio, ringraziare per l’attenzione dimostrata: tutto questo aggiunge valore.

Il “prezzo” è stato da sempre la misura di scambio tra il bene e il suo acquirente: io ti do un prodotto, tu mi dai il denaro corrispettivo. L’attenzione si è sempre concentrata su questa equazione, e l’obiettivo principale è dunque sempre stato quello di contenere i costi in modo da poter mantenere i prezzi competitivi. Eppure ci siamo persi un pezzo: è necessario essere a conoscenza del valore delle cose e comunicarle al meglio. Come riuscire a ottenere un valore come l’attenzione del consumatore? Come ottenere una cosa preziosa come il suo impegno? È necessario che avvenga uno scambio di valore.

Lo scambio si traduce quindi in questa domanda: Che cosa sei disposto a offrire ai tuoi consumatori in cambio della loro attenzione?

Exchange eleva l’idea di prezzo al di là della transazione in un rapporto reale con il cliente: nell’acquisto si celebra quello scambio narrativo attraverso cui chi compra restituisce valore alla marca partecipando alla grande conversazione digitale e condividendo le proprie scelte.

Da Place a Everyplace

L’e-commerce abbatte i muri dei negozi. Grazie al mobile, è possibile acquistare ovunque ci si trovi e in qualsiasi momento della giornata. Lo spazio e il tempo si espandono, diventano permanenti, sono i consumatori a creare i propri percorsi d’acquisto. I marketers devono dunque comprendere l’intera gamma di percorsi possibili nel raggiungere il proprio target, sfruttando al meglio il potere di un sito, di una pagina Facebook e Instagram, della pubblicità su Google.

Il senso di “everyplace” si traduce anche in una solida presenza sui social, così come nella costruzione di un sito web del proprio brand. Così facendo i potenziali clienti possono essere coinvolti più facilmente per poi essere trasformati in consumatori. La presenza sia nel mondo digitale sia in quello fisico permette diverse forme di scoperta e di interazione con il marchio. Più touchpoint consentono uno scambio di valori più ampio. È emblematico, in modo speculare, l’impegno di Amazon ad aprire negli Stati Uniti negozi fisici per l’acquisto di libri e generi alimentari.

Da Promotion a Evangelism

Quando la mission e l’immagine di un certo marchio regalano un’esperienza davvero stimolante per i consumatori, ora si impegnano a tal punto da condividere il loro entusiasmo con gli altri, attuando di fatto quella che Fetherstonhaugh chiama evangelizzazione. Ma come scatenare l’evangelizzazione? Ogni marchio dovrebbe rappresentare un tema universale, duraturo, e condiviso da molti, che sappia scatenare forti emozioni. Il brand, piuttosto che decantare le proprie doti, dovrebbe sforzarsi di soddisfare i clienti al punto da spingerli a consigliare i prodotti spontaneamente.

Il miglior testimonial per un marchio è il cliente soddisfatto. Quando il consumatore diventa discepolo di un marchio significa che il brand è diventato parte della sua vita e così difendere ciò che ama è una missione, condividerlo è manifestare uno status.

Si attiva attraverso il content marketing, i social media, le relazioni pubbliche tradizionali, i post degli influencer, e attraverso il buon passaparola vecchio stile. Marchi come Apple, Disney, Lego lo sanno molto bene.

La quinta E, l’Empathy

La crisi scatenata dal virus ha rivelato nuovi bisogni, comportamenti e forme di scambio. Abbiamo visto attuarsi in pochi mesi cambiamenti che normalmente avrebbero richiesto decenni per compiersi.

La pandemia ha oltre tutto rivelato la mancanza di empatia radicata nei nostri sistemi sociali, abitativi, lavorativi e urbani. Allo stesso tempo, l’empatia è stata la motivazione per trovare soluzioni creative atte ad alleviare le circostanze che abbiamo condiviso. E ora dobbiamo pensare a come il futuro gestirà le nuove prospettive, la fisicità e lo spazio. Il prossimo passo sarà quello di creare fluidità tra i valori empatici e i valori fisici: l’empatia e la fisicità dovranno trovare nuove relazioni attraverso la progettazione di valori connessi.

Lo abbiamo visto, il commercio è, ora, prima di tutto un business di persone. L’empatia, seppur nascosta e silenziosa, fa parte della natura più profonda di tutte le altre E che abbiamo descritto. Sta a noi farla emergere come valore essenziale in grado di modificare prospettive e approcci, in tutta la filiera.

La chiave di volta è costituita dal legame sempre più stretto tra brand, presa di coscienza, attività economiche e culturali locali, senso di comunità, il coinvolgimento delle persone attraverso metodi di crowdsourcing e similari e attraverso il potenziamento delle comunità locali.

Un progetto, un’operazione di marketing o un business di successo non è la creazione di un singolo punto perfetto. L’obiettivo è diverso, e molto più complesso e ambizioso: sperimentare, ispirare, generare emozioni. Siamo convinti che il sistema olistico di valori empatici è e sarà il nuovo prodotto che commercializzeremo e acquisteremo.

Un esempio significativo? Non una campagna di marketing, ma la filosofia aziendale di un marchio, un’azienda che da subito ha abbracciato il claim One for One.

Nel 2006, lo studente Blake Mycoskie viaggiò attraverso l’Argentina. Lì notò che molti bambini erano privi di una necessità base: un paio di scarpe. Nello stesso anno, tornato negli Stati Uniti, creò un’azienda – TOMS Shoes. Oggi, TOMS si è posizionata come uno dei principali attori nel settore calzaturiero. Ma con una svolta fondamentale, integrando cioè la responsabilità sociale d’impresa nel suo modello di business. Ogni volta che si acquista un paio di scarpe TOMS, infatti vengono donati un paio di scarpe a un bambino bisognoso. Il modello di business di TOMS è semplice, efficace e il suo impatto positivo è stato riconosciuto da tutti. Le persone si connettono con il marchio perché acquistare da TOMS è come indossare un badge che annuncia: “Ho fatto qualcosa per qualcuno”. Riuscire a restituire alla comunità e dare un senso di realizzazione alle persone sono due fattori empatici fondamentali.

L’integrazione di marketing, strategia aziendale, progettualità e design thinking può cogliere appieno le potenzialità ancora inespresse dei sistemi e dei modelli economici in continuo mutamento. La curiosità di scoprire, creare e collegare persone e valori emotivi, fisici, digitali sarà il motore del nuovo marketing.

Quindi, progettisti, marketers, imprenditori, produttori, fornitori e consumatori, siamo pronti a connetterci con il futuro?

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August 28, 2020
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