Diario di un viaggio
Data Centers of the future are here
Nel 2013 ho preso un volo per Haiti per quello che pensavo sarebbe stata una semplice esperienza di volontariato, che poi si è trasformata in un’avventura che mi ha cambiato la vita per sempre. Tutto è nato da un incontro con una storia straordinaria: una suora originaria di Busto Arsizio che, passando dall’Albania e dal Brasile, è approdata nel 2005 a Wharf Jeremie, la baraccopoli più pericolosa del mondo, con la missione di portare un po’ di bellezza in una terra dilaniata come quella di Haiti.
Sono partito munito di curiosità, buona volontà e in un certo senso anche di una buona dose di ‘buonismo’, cioè con la presunzione di poter andare a salvare un piccolo pezzetto di mondo. La realtà, poi, è stata uno schiaffo in faccia.
Questo piccolo paese caraibico versa da anni in una situazione di grave instabilità, gli scontri tra bande armate che si contendono il controllo del territorio sono all’ordine del giorno. Non è raro leggere tra i titoli di giornale che la raccontano storie di saccheggi, omicidi, sequestri, epidemie… per non parlare del devastante terremoto che nel 2010 mise in ginocchio il paese, o dell’omicidio, nel 2021, del Presidente Jovenel Moïse che fece chiudere i confini dell’isola e dichiararne lo stato d’assedio. Un paese dilaniato, ma dal DNA importante: Haiti nasce dalle ceneri della lotta contro la schiavitù e fu la prima nazione nera indipendente al mondo. Un collage di contrasti, dove bellezza e drammaticità, bene e male, sono indissolubilmente collegati tra loro. 28.000 kmq in cui spiagge caraibiche convivono con una povertà senza pari, magia e tragedia sono allo stesso modo parte della quotidianità.
Alla periferia della capitale di Haiti, Port Au Prince, superati numerosi posti di blocco, che siano della polizia o delle gang locali, si trova Wharf Jeremie, che è uno degli slum più poveri e più pericolosi del globo, e che nonostante tutto, è anche un luogo di bellezza. Grazie all’opera di Suor Marcella, e dei volontari che la sostengono, all’interno dello slum c’è un micro-quartiere, fatto di casette colorate, giardini curati, un orfanatrofio e un asilo.
Cercare di applicare a questo complicato scenario gli strumenti che facevano parte del mio bagaglio personale sarebbe stato un po’ come provare a misurare una lunghezza con una bilancia: assolutamente inutile.
Questo senso di impotenza mi ha portato più volte a chiedermi “Cosa c’entra questo posto con la mia vita e il mio desiderio di felicità?”
Questa domanda è stata la scintilla che mi ha fatto intraprendere un percorso personale da cui non sono più tornato indietro. Anno dopo anno sono tornato sull’isola e ho costituito insieme ad alcuni amici una fondazione, la Fondazione Via Lattea, a supporto dell’opera di Suor Marcella. Il culmine arriva nel 2019, quando ho deciso di lasciare il lavoro e la mia città, per condividere a tempo pieno la quotidianità con quei volti che negli anni sono diventati a me sempre più cari. Tre anni, gli ultimi, molto belli e intensi, dedicati per la prima parte a un progetto di studio per i 20 bambini più grandicelli dell’orfanatrofio di Wharf Jeremie in Umbria, e nell’ultimo anno nell’orfanotrofio ad Haiti, che accoglie 150 bambini.
Vivere in un contesto così complicato vuol dire prendere coscienza della realtà e farci i conti fino in fondo. Ciò non vuol dire abbattersi, anzi tutt’altro, vuol dire prendere in considerazione tutti gli elementi di quello che ci troviamo davanti e non solo quello che ci interessa di più. Si apprende a pesare tutti i fattori e prendere decisioni misurate. Come quella volta che non era possibile lasciare Wharf Jeremy per andare a fare approvvigionamento d’acqua, e avendone a disposizione una quantità limitata, noi volontari abbiamo rinunciato alla nostra doccia quotidiana a favore dell’acqua per mantenere verdi i giardini dello slum.
A favore, dunque, di quella bellezza che soprattutto in un contesto di questo tipo, è fondamentale preservare per risvegliare il desiderio di bene e di bello che c’è in ogni uomo perché coincide con la salvezza.
La forza per superare le difficoltà viene sicuramente dall’amore (che per me coincide con la fede). Il sentirsi accolto, amato e voluto bene è motore per accogliere, amare e voler bene al di là dei limiti propri e altrui. E così capita che se di notte ti bussa alla porta un membro della gang del quartiere che chiede soccorso perché colpito da un’arma da fuoco, non ti chiedi due volte se doverlo soccorrere o meno, anche se pochi giorni prima era venuto a bussare alla stessa porta per minacciarti. E questo lo fai non per forza di volontà, ma perché in fondo vuoi bene anche alla sua umanità.
Questa esperienza è stata talmente forte e importante che io sono quella cosa lì.
La persona che sono oggi, quello che oggi vedete di me, nel bene, ma anche nel male, arriva da lì!
E non parlo soltanto del fatto che mi lamento e mi arrabbio con meno facilità di un tempo, avendo un metro di misura ben diverso. Una volta presa la decisione di rientrare, anche la stessa scelta di venire a lavorare in Lombardini22 è nata dal vissuto di questi anni. In precedenza avrei optato per altri criteri come la vicinanza, le mansioni o lo stipendio. Criteri oggettivi, insomma. Invece al mio rientro ha vinto il desiderio di mettersi in gioco. Ho immaginato il luogo di lavoro come un’occasione per trovarmi a contatto con diverse umanità, culture e modi di fare, dove mettere di nuovo le mani in pasta per creare nuove connessioni e nuove relazioni.
Ho trovato un luogo dove le differenze non rappresentano ostacoli, ma una vera e propria forza, o meglio incontro, e di conseguenza possibilità di crescita, sia professionale che umana.
In Lombardini22 sotto questo punto di vista ho percepito subito terreno fertile, percezione che poi giorno dopo giorno ha trovato conferma, per fortuna.
Per concludere, io credo che il punto sia il modo in cui ci poniamo nei confronti del contesto in cui ci troviamo. Questo vale ovunque, in una delle baraccopoli più difficili dell’intero globo, così come in uno degli studi di architettura più importanti d’Italia. Realtà completamente diverse, ma la questione del “dove sto” è secondaria al “come ci sto”.
In altre parole: guardarsi l’ombelico o guardare l’orizzonte? Su una delle pareti dell’orfanatrofio di Wharf Jeremy si legge:
“Se vuoi costruire una nave non radunare gli uomini per raccogliere il legno, per distribuire i compiti e suddividere il lavoro, ma fai nascere in loro la nostalgia del mare ampio e infinito”
Antoine Saint-Exupery
Rientrando ho portato con me il sorriso haitiano come arma per affrontare tutte le situazioni, anche le più complicate, a memoria di quella nostalgia di bene e di bello che ogni essere umano porta con sé.
DI OGNUNO
Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.
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Controller di professione con un'indole naif. Sempre in movimento, amo sorridere, viaggiare ed incontrare.