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Algoritmo, emozione, architettura

Data Centers of the future are here

L'intervento di Davide Ruzzon a Shaping Conscious Cities
17/9/2019
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La enorme disponibilità di dati da interpretare ai fini di predire un comportamento, sia di un singolo che di una moltitudine, ha spianato la strada all’utilizzo dell’algoritmo in molti settori, quasi tutti quelli che gestiscono gli output del comportamento umano.

La produzione seriale dei servizi e dei prodotti tende, secondo le leggi del mercato, a creare estesi profili omogenei di utenti. Nonostante il controllo digitale sia esteso anche ai mezzi di produzione, la personalizzazione del servizio o del prodotto crea una riduzione del margine di profitto, a parità di prezzo. In un mercato globalizzato, però, il marketing può ‘rifilare’ come personalizzato un prodotto in realtà disegnato su segmenti di utenti a sei o più zeri.

Su scala globale, segmentare ed omogeneizzare, quindi, è solo apparentemente un ossimoro.

Raccogliere dati e sviluppare delle predizioni è anche il compito principale del cervello umano. La nostra principale occupazione è intravedere il futuro, a livello implicito quanto cosciente. Ogni momento della giornata, quando prendiamo delle decisioni avviamo molti processi, alcuni coscienti ed altri sottorranei, tutti molto importanti. Potremo dire che i processi cognitivi, per raggiungere lo scopo individuato dalla decisione, sono accompagnati da un’attività in background, mutuando un termine oggi molto in uso grazie all’uso dei computer.

Queste attività profonde sono nella realtà perfettamente intrecciate a quelle in background, tanto intrecciate da non poterle distinguere.

Gli studiosi di cibernetica che tentano di produrre dei replicanti sanno bene di cosa si tratta. La qualità dell’attività profonda non potrà mai essere perfettamente riprodotta, potrà essere rappresentata, tradotta e perciò tradita, quindi mai eguale. Questo ostacolo alla perfetta riproducibilità dell’essere umano, cela però anche un pericolo: la futura produzione di replicanti potrebbe produrre una grande quantità di cyborg con un sistema di valori non compatibile e del tutto sconosciuto.

Antonio Damasio tratta questo tema, nell’ultimo libro ‘Lo strano ordine delle cose’, uscito in Italia per Adelphi nel 2018. Lo studioso americano, di origine portoghese, ritiene che gli ostacoli più rilevanti per raggiungere la perfetta replica dell’uomo siano due in particolare: la materia che genera i dati e il rapporto con il contesto fisico dell’organismo umano. Il corpo, in tutta la sua complessità fisico, meccanica, chimica e viscerale e lo spazio architettonico che accoglie e reagisce ai nostri movimenti producono una relazione che gli algoritmi molto difficilmente potranno mai riprodurre identica.

Il nostro comportamento, quello che facciamo ogni giorno, dopo aver preso una decisione cosciente, in stato di veglia, è invece influenzato da questi due aspetti, il corpo in movimento e il rapporto con lo spazio. E’ attraverso l’interazione con la forma spaziale, prima naturale e poi artificiale, che il cervello umano, grazie al perfezionarsi del controllo sensorimotorio, ha prodotto il salto evolutivo dall’Erectus al Sapiens. La Rivoluzione Neolitica, intorno al 9000 a.C., non sarebbe arrivata se non si fossero realizzati i primi dispositivi architettonici artificiali che permisero di ritualizzare in forma nuova gesti, suoni, relazioni umane, di consolidare e raffinare i sentimenti, su stratificazioni emotive sempre più sofisticate.

Il movimento del corpo, attraverso rituali condivisi nello spazio, produce modificazioni del sistema muscolo-scheletrico e variazioni bio-chimiche che il cervello trasforma in immagini neurali, in intrecci di segnali che attraversano la corteccia, insieme alla parte più antica dell’encefalo, contengono la coscienza del complesso rapporto corpo-ambiente.

Queste immagini sono i sentimenti del sostrato emotivo che la decisione ha generato mettendo a confronto, in pochi millesimi di secondo, la memoria riattivata di emozioni innescate da precedenti decisioni, uguali od analoghe, e i dati che l’esperienza in presa diretta fornisce. La ricchezza di queste immagini di partenza e di arrivo, d’archivio ed attuali, non potrà essere riprodotta identica da un algoritmo, anche disponendo di un calcolatore potentissimo e di tantissimi dati.

Questo fatto ci consegna, chiaramente, anche la consapevolezza di quanto importante sia la dimensione emotiva-affettiva, che nasce dal rapporto movimento-spazio. Nel momento in cui riconosciamo che un definito dispositivo architettonico riflette la ricerca di una dimensione posturale e fisiologica del corpo, quella che per capirci chiamiamo emozione, non possiamo ritenere più lo spazio un luogo neutro ed avulso della qualità della nostra vita e dai risultati che il nostro comportamento produce. L’architettura è quella cosa che ci ha permesso di fare il salto evolutivo, che ci può aiutare a continuare il nostro percorso di umano sviluppo, oppure che può produrre anche una regressione antropologica. Il cambiamento è stato possibile per la natura plastica del nostro cervello, che funziona sia in meglio che in peggio. Un ambiente urbano impoverito e neutro, stagnante, privo di qualità e di cura, può far regredire il nostro cervello e peggiorare il nostro comportamento.

Gli studi realizzati sull’ ippocampo, una parte molto importante e profonda del cervello, di detenuti dopo anni di confinamento in spazi angusti ha dimostrato come la complessità emotiva ed immaginativa, conseguente alla ridotta attivazione del corpo nello spazio, sia stata quasi annichilita, con prevalenza di emozioni primarie, come la rabbia. L’ippocampo si riscontrò ridotto quasi alla metà in termini dimensionali.

La riflessione sullo sviluppo sofisticato delle emozioni di fondo legate al movimento del corpo, nate sulla spinta della ricerca e delle altre emozioni primarie, deve essere molto sviluppata nel futuro.

Non c’è dubbio, però, che l’uomo ricerchi per ogni attività lo spazio giusto dove ‘annidare’ il sentimento atteso. Compito nuovo del progetto è usare la storia dell’evoluzione umana, e le neuroscienze, per scegliere le forme architettoniche del futuro. Non si tratta a mio avviso di inventare nulla, ma solo di riconoscere e rileggere, nel modo giusto, il legame ancestrale tra i desideri umani e dispositivi spaziali antichissimi.

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September 17, 2019
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September 17, 2019

Algoritmo, emozione, architettura

La enorme disponibilità di dati da interpretare ai fini di predire un comportamento, sia di un singolo che di una moltitudine, ha spianato la strada all’utilizzo dell’algoritmo in molti settori, quasi tutti quelli che gestiscono gli output del comportamento umano.

La produzione seriale dei servizi e dei prodotti tende, secondo le leggi del mercato, a creare estesi profili omogenei di utenti. Nonostante il controllo digitale sia esteso anche ai mezzi di produzione, la personalizzazione del servizio o del prodotto crea una riduzione del margine di profitto, a parità di prezzo. In un mercato globalizzato, però, il marketing può ‘rifilare’ come personalizzato un prodotto in realtà disegnato su segmenti di utenti a sei o più zeri.

Su scala globale, segmentare ed omogeneizzare, quindi, è solo apparentemente un ossimoro.

Raccogliere dati e sviluppare delle predizioni è anche il compito principale del cervello umano. La nostra principale occupazione è intravedere il futuro, a livello implicito quanto cosciente. Ogni momento della giornata, quando prendiamo delle decisioni avviamo molti processi, alcuni coscienti ed altri sottorranei, tutti molto importanti. Potremo dire che i processi cognitivi, per raggiungere lo scopo individuato dalla decisione, sono accompagnati da un’attività in background, mutuando un termine oggi molto in uso grazie all’uso dei computer.

Queste attività profonde sono nella realtà perfettamente intrecciate a quelle in background, tanto intrecciate da non poterle distinguere.

Gli studiosi di cibernetica che tentano di produrre dei replicanti sanno bene di cosa si tratta. La qualità dell’attività profonda non potrà mai essere perfettamente riprodotta, potrà essere rappresentata, tradotta e perciò tradita, quindi mai eguale. Questo ostacolo alla perfetta riproducibilità dell’essere umano, cela però anche un pericolo: la futura produzione di replicanti potrebbe produrre una grande quantità di cyborg con un sistema di valori non compatibile e del tutto sconosciuto.

Antonio Damasio tratta questo tema, nell’ultimo libro ‘Lo strano ordine delle cose’, uscito in Italia per Adelphi nel 2018. Lo studioso americano, di origine portoghese, ritiene che gli ostacoli più rilevanti per raggiungere la perfetta replica dell’uomo siano due in particolare: la materia che genera i dati e il rapporto con il contesto fisico dell’organismo umano. Il corpo, in tutta la sua complessità fisico, meccanica, chimica e viscerale e lo spazio architettonico che accoglie e reagisce ai nostri movimenti producono una relazione che gli algoritmi molto difficilmente potranno mai riprodurre identica.

Il nostro comportamento, quello che facciamo ogni giorno, dopo aver preso una decisione cosciente, in stato di veglia, è invece influenzato da questi due aspetti, il corpo in movimento e il rapporto con lo spazio. E’ attraverso l’interazione con la forma spaziale, prima naturale e poi artificiale, che il cervello umano, grazie al perfezionarsi del controllo sensorimotorio, ha prodotto il salto evolutivo dall’Erectus al Sapiens. La Rivoluzione Neolitica, intorno al 9000 a.C., non sarebbe arrivata se non si fossero realizzati i primi dispositivi architettonici artificiali che permisero di ritualizzare in forma nuova gesti, suoni, relazioni umane, di consolidare e raffinare i sentimenti, su stratificazioni emotive sempre più sofisticate.

Il movimento del corpo, attraverso rituali condivisi nello spazio, produce modificazioni del sistema muscolo-scheletrico e variazioni bio-chimiche che il cervello trasforma in immagini neurali, in intrecci di segnali che attraversano la corteccia, insieme alla parte più antica dell’encefalo, contengono la coscienza del complesso rapporto corpo-ambiente.

Queste immagini sono i sentimenti del sostrato emotivo che la decisione ha generato mettendo a confronto, in pochi millesimi di secondo, la memoria riattivata di emozioni innescate da precedenti decisioni, uguali od analoghe, e i dati che l’esperienza in presa diretta fornisce. La ricchezza di queste immagini di partenza e di arrivo, d’archivio ed attuali, non potrà essere riprodotta identica da un algoritmo, anche disponendo di un calcolatore potentissimo e di tantissimi dati.

Questo fatto ci consegna, chiaramente, anche la consapevolezza di quanto importante sia la dimensione emotiva-affettiva, che nasce dal rapporto movimento-spazio. Nel momento in cui riconosciamo che un definito dispositivo architettonico riflette la ricerca di una dimensione posturale e fisiologica del corpo, quella che per capirci chiamiamo emozione, non possiamo ritenere più lo spazio un luogo neutro ed avulso della qualità della nostra vita e dai risultati che il nostro comportamento produce. L’architettura è quella cosa che ci ha permesso di fare il salto evolutivo, che ci può aiutare a continuare il nostro percorso di umano sviluppo, oppure che può produrre anche una regressione antropologica. Il cambiamento è stato possibile per la natura plastica del nostro cervello, che funziona sia in meglio che in peggio. Un ambiente urbano impoverito e neutro, stagnante, privo di qualità e di cura, può far regredire il nostro cervello e peggiorare il nostro comportamento.

Gli studi realizzati sull’ ippocampo, una parte molto importante e profonda del cervello, di detenuti dopo anni di confinamento in spazi angusti ha dimostrato come la complessità emotiva ed immaginativa, conseguente alla ridotta attivazione del corpo nello spazio, sia stata quasi annichilita, con prevalenza di emozioni primarie, come la rabbia. L’ippocampo si riscontrò ridotto quasi alla metà in termini dimensionali.

La riflessione sullo sviluppo sofisticato delle emozioni di fondo legate al movimento del corpo, nate sulla spinta della ricerca e delle altre emozioni primarie, deve essere molto sviluppata nel futuro.

Non c’è dubbio, però, che l’uomo ricerchi per ogni attività lo spazio giusto dove ‘annidare’ il sentimento atteso. Compito nuovo del progetto è usare la storia dell’evoluzione umana, e le neuroscienze, per scegliere le forme architettoniche del futuro. Non si tratta a mio avviso di inventare nulla, ma solo di riconoscere e rileggere, nel modo giusto, il legame ancestrale tra i desideri umani e dispositivi spaziali antichissimi.

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September 17, 2019
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