semplicemente variando dimensioni e finiture a seconda dei budget a disposizione: sequenze fisse di ingressi–soggiorni–angoli cottura–disimpegni–zone notte,con una ricerca tipologica e distributiva (quasi) a zero, ci accompagnano con granitica certezza fin dai tempi dell’existenzminimum, fino a plasmare buona parte delle nostre aspettative sull’idea di casa (cristallizzate all’infinito dal linguaggio degli annunci immobiliari).
E non solo questa, poiché si tratta di un più ampio reset esistenziale. Le case sono state reinvestite di nuovi (o antichi?) comportamenti, ritmi, tempi e usi dello spazio: la casa diventa luogo pubblico, aula scolastica se pensiamo alla relazione con la scuola a distanza, ma anche palestra, set televisivo, location di cocktail serali e altro ancora (si organizzano addirittura festival d’architettura da casa).
Educazione, gioco, sport, cura di sé, attenzione intergenerazionale, ruoli, mansioni e rapporti di vicinato, relazioni interno-esterno, opacità e trasparenze, movimenti centripeti e centrifughi, statici e dinamici, fisici (pochi) e virtuali (moltissimi):
Se dunque assegnare alla casa (all’unità abitativa) una specializzazione esclusivamente residenziale era già un limite obsoleto, oggi dobbiamo chiederci: come sfruttare l’occasione per superare i vecchi schemi?
Casa borghese o benestante, Casa dell’existenzminimum, Casa cluster, Casa partecipata, Casa banale, Casa anti-domestica, Casa flessibile e polivalente, Abitare condiviso, Co-living, Co-housing (Collaborative, Collective, Communal, Cooperative Housing), Viviendas dotacionales, Baugruppen, Joker zimmer, Logement-foyer, Habitat groupé, Centraal wonen, Housing sociale, Social Village…
I nomi concreti che descrivono tuttora le forme dell’abitare e dei suoi servizi complementari, rispetto alla nebulosa di connettività che ToyoIto chiamò “Media Forest”, sono la messa a terra tangibile con cui ci confrontiamo, in qualche modo “rassicurante” perché riconoscibile e più o meno storicizzata. Diversamente progressiva nella sua “socialità”, ogni formula porta con sé le luci e le ombre, le criticità e i vantaggi di differenti profili di desiderio comunitario: risposta a esigenze reali ma anche fenomeno di nicchia sociale (Co-housing), con interessanti elementi di innovazione ma anche versione “commodified” di vecchie esperienze storiche riformatrici (Co-living), generosa di annessi collaborativi ma spesso con vago sapore di gated community (Social Village).
Tuttavia qualsiasi visione è oggi invecchiata di colpo.
Mentre la nuvola di connessioni digitali si mantiene in vita, e anzi prolifera (dobbiamo aspettarci un'ulteriore accelerazione dell'uso di strumenti tecnologici ancora sottoutilizzati), sono proprio i meccanismi fisici di condivisione che saltano. La loro articolazione collassa in un punto:
È dunque urgente riarticolare quel punto, ed è necessario un nuovo e diverso modello che immagini altre ibridazioni, contaminazioni, punti da unire. Ciò apre nuovi scenari alla progettazione, ai modelli d’uso e gestione degli spazi residenziali, all’invenzione di altre tipologie e di altri processi.
Casa post-tipologica, o casa ultra-tipologica? Zona giorno e zona notte, o zone alba tramonto aurora crepuscolo…?
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