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Metamorfosi Domestica

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Reset esistenziale e abitativo
5/5/2020
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Paolo Facchini, Igor Rebosio
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Per quanto le sfere della vita privata e del lavoro siano da tempo sfumate, da decenni il settore residenziale replica schemi dati per sicuri,

semplicemente variando dimensioni e finiture a seconda dei budget a disposizione: sequenze fisse di ingressi–soggiorni–angoli cottura–disimpegni–zone notte,con una ricerca tipologica e distributiva (quasi) a zero, ci accompagnano con granitica certezza fin dai tempi dell’existenzminimum, fino a plasmare buona parte delle nostre aspettative sull’idea di casa (cristallizzate all’infinito dal linguaggio degli annunci immobiliari).

Non sono queste le case in cui la maggior parte di noi si sta prodigando in queste settimane nella propria continuità lavorativa?

E non solo questa, poiché si tratta di un più ampio reset esistenziale. Le case sono state reinvestite di nuovi (o antichi?) comportamenti, ritmi, tempi e usi dello spazio: la casa diventa luogo pubblico, aula scolastica se pensiamo alla relazione con la scuola a distanza, ma anche palestra, set televisivo, location di cocktail serali e altro ancora (si organizzano addirittura festival d’architettura da casa).

Educazione, gioco, sport, cura di sé, attenzione intergenerazionale, ruoli, mansioni e rapporti di vicinato, relazioni interno-esterno, opacità e trasparenze, movimenti centripeti e centrifughi, statici e dinamici, fisici (pochi) e virtuali (moltissimi):

tutto è rimesso in circolo in nuovi rapporti tra privacy e visibilità.

Se dunque assegnare alla casa (all’unità abitativa) una specializzazione esclusivamente residenziale era già un limite obsoleto, oggi dobbiamo chiederci: come sfruttare l’occasione per superare i vecchi schemi?

QUALE CASA?

Casa borghese o benestante, Casa dell’existenzminimum, Casa cluster, Casa partecipata, Casa banale, Casa anti-domestica, Casa flessibile e polivalente, Abitare condiviso, Co-living, Co-housing (Collaborative, Collective, Communal, Cooperative Housing), Viviendas dotacionales, Baugruppen, Joker zimmer, Logement-foyer, Habitat groupé, Centraal wonen, Housing sociale, Social Village…

I nomi concreti che descrivono tuttora le forme dell’abitare e dei suoi servizi complementari, rispetto alla nebulosa di connettività che ToyoIto chiamò “Media Forest”, sono la messa a terra tangibile con cui ci confrontiamo, in qualche modo “rassicurante” perché riconoscibile e più o meno storicizzata. Diversamente progressiva nella sua “socialità”, ogni formula porta con sé le luci e le ombre, le criticità e i vantaggi di differenti profili di desiderio comunitario: risposta a esigenze reali ma anche fenomeno di nicchia sociale (Co-housing), con interessanti elementi di innovazione ma anche versione “commodified” di vecchie esperienze storiche riformatrici (Co-living), generosa di annessi collaborativi ma spesso con vago sapore di gated community (Social Village).

Ogni denominazione rimanda a un insieme di attori e di gruppi sociali, di regole, di forme insediative nella città e di articolazioni degli spazi pubblici,semi-pubblici, semi-privati, domestici e così via.

Tuttavia qualsiasi visione è oggi invecchiata di colpo.

Mentre la nuvola di connessioni digitali si mantiene in vita, e anzi prolifera (dobbiamo aspettarci un'ulteriore accelerazione dell'uso di strumenti tecnologici ancora sottoutilizzati), sono proprio i meccanismi fisici di condivisione che saltano. La loro articolazione collassa in un punto:

la casa è un ologramma.

È dunque urgente riarticolare quel punto, ed è necessario un nuovo e diverso modello che immagini altre ibridazioni, contaminazioni, punti da unire. Ciò apre nuovi scenari alla progettazione, ai modelli d’uso e gestione degli spazi residenziali, all’invenzione di altre tipologie e di altri processi.

Casa post-tipologica, o casa ultra-tipologica? Zona giorno e zona notte, o zone alba tramonto aurora crepuscolo…?

Scarica il Position Paper in formato PDF

 

 

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May 5, 2020
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Metamorfosi Domestica

Per quanto le sfere della vita privata e del lavoro siano da tempo sfumate, da decenni il settore residenziale replica schemi dati per sicuri,

semplicemente variando dimensioni e finiture a seconda dei budget a disposizione: sequenze fisse di ingressi–soggiorni–angoli cottura–disimpegni–zone notte,con una ricerca tipologica e distributiva (quasi) a zero, ci accompagnano con granitica certezza fin dai tempi dell’existenzminimum, fino a plasmare buona parte delle nostre aspettative sull’idea di casa (cristallizzate all’infinito dal linguaggio degli annunci immobiliari).

Non sono queste le case in cui la maggior parte di noi si sta prodigando in queste settimane nella propria continuità lavorativa?

E non solo questa, poiché si tratta di un più ampio reset esistenziale. Le case sono state reinvestite di nuovi (o antichi?) comportamenti, ritmi, tempi e usi dello spazio: la casa diventa luogo pubblico, aula scolastica se pensiamo alla relazione con la scuola a distanza, ma anche palestra, set televisivo, location di cocktail serali e altro ancora (si organizzano addirittura festival d’architettura da casa).

Educazione, gioco, sport, cura di sé, attenzione intergenerazionale, ruoli, mansioni e rapporti di vicinato, relazioni interno-esterno, opacità e trasparenze, movimenti centripeti e centrifughi, statici e dinamici, fisici (pochi) e virtuali (moltissimi):

tutto è rimesso in circolo in nuovi rapporti tra privacy e visibilità.

Se dunque assegnare alla casa (all’unità abitativa) una specializzazione esclusivamente residenziale era già un limite obsoleto, oggi dobbiamo chiederci: come sfruttare l’occasione per superare i vecchi schemi?

QUALE CASA?

Casa borghese o benestante, Casa dell’existenzminimum, Casa cluster, Casa partecipata, Casa banale, Casa anti-domestica, Casa flessibile e polivalente, Abitare condiviso, Co-living, Co-housing (Collaborative, Collective, Communal, Cooperative Housing), Viviendas dotacionales, Baugruppen, Joker zimmer, Logement-foyer, Habitat groupé, Centraal wonen, Housing sociale, Social Village…

I nomi concreti che descrivono tuttora le forme dell’abitare e dei suoi servizi complementari, rispetto alla nebulosa di connettività che ToyoIto chiamò “Media Forest”, sono la messa a terra tangibile con cui ci confrontiamo, in qualche modo “rassicurante” perché riconoscibile e più o meno storicizzata. Diversamente progressiva nella sua “socialità”, ogni formula porta con sé le luci e le ombre, le criticità e i vantaggi di differenti profili di desiderio comunitario: risposta a esigenze reali ma anche fenomeno di nicchia sociale (Co-housing), con interessanti elementi di innovazione ma anche versione “commodified” di vecchie esperienze storiche riformatrici (Co-living), generosa di annessi collaborativi ma spesso con vago sapore di gated community (Social Village).

Ogni denominazione rimanda a un insieme di attori e di gruppi sociali, di regole, di forme insediative nella città e di articolazioni degli spazi pubblici,semi-pubblici, semi-privati, domestici e così via.

Tuttavia qualsiasi visione è oggi invecchiata di colpo.

Mentre la nuvola di connessioni digitali si mantiene in vita, e anzi prolifera (dobbiamo aspettarci un'ulteriore accelerazione dell'uso di strumenti tecnologici ancora sottoutilizzati), sono proprio i meccanismi fisici di condivisione che saltano. La loro articolazione collassa in un punto:

la casa è un ologramma.

È dunque urgente riarticolare quel punto, ed è necessario un nuovo e diverso modello che immagini altre ibridazioni, contaminazioni, punti da unire. Ciò apre nuovi scenari alla progettazione, ai modelli d’uso e gestione degli spazi residenziali, all’invenzione di altre tipologie e di altri processi.

Casa post-tipologica, o casa ultra-tipologica? Zona giorno e zona notte, o zone alba tramonto aurora crepuscolo…?

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May 5, 2020
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