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Grandi trasformazioni urbane

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Quale futuro vogliamo per Milano?
18/7/2017
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Le grandi trasformazioni urbane sono dinamiche cruciali e organiche, da leggere in stretta correlazione con il territorio, le persone e i tempi di sedimentazione, e soprattutto prevedendo ampia flessibilità per cambiamenti inaspettati.

Possiamo infatti fidarci ancora delle previsioni? È evidente che non è più il momento di avere troppe aspettative. È certo apprezzabile la lungimiranza della città di Londra quando nel 2014 pubblicava il “London Infrastructure Plan 2050”, ma con ironia si può commentare: "Sicuramente non avevano previsto la BREXIT".

Tuttavia le città che si vogliono previdenti immaginano, e devono continuare a farlo nonostante tutto, il proprio futuro a lungo termine: nel 2009 Sarkozy chiamava 10 architetti a pensare la Grand Paris del 2030, nello stesso anno Algeri lanciava il Plan Stratégique de Développement d'Alger 2010-2029. Quale che sia il destino effettivo delle nostre città, dobbiamo sempre sforzarci di prefigurarlo per creare le condizioni affinché si avveri il futuro più desiderato.

Milano è oggi in una condizione speciale per determinare strategicamente il proprio futuro. Ma quale futuro vogliamo?

Durante la tavola rotonda "Grandi trasformazioni urbane", tenuta venerdì 16 giugno nel Salone d'Onore della Triennale di Milano, si è parlato di una città che è stata in grado di superare la crisi e che può avere la capacità di trascinare il Paese fuori dalle difficoltà.

Il dibattito, moderato da Alessandro Balducci del Politecnico di Milano, ha visto la partecipazione delle figure più direttamente impegnate nella costruzione della nuova Milano: e il risultato è un affresco noto ma nell’insieme sorprendente di una città che, attraversando un momento di cambiamenti straordinari, si può giocare davvero il proprio futuro.

Dalle grandi operazioni in fase di completamento di Porta Nuova e CityLife, illustrate rispettivamente da Cristiano Rossetto (Fund Manager Coima Sgr) e Armando Borghi (AD CityLife), agli importanti interventi da avviare nel prossimo futuro, come la riqualificazione delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni (della quale ha parlato Carlo Masseroli, Direttore generale Milanosesto) e del recupero degli scali ferroviari (di cui Carlo De Vito, AD FS Sistemi Urbani, ha descritto e difeso la procedura oggi al centro di un’accesa polemica), fino ai casi più specifici rappresentati da Cesare Ferrero (Presidente So.ge.mi. Spa) e Marco Giachetti (Presidente Fondazione IRCCS Cà Granda), è emerso un quadro complessivo davvero impressionante per la quantità delle superfici messe in gioco, soprattutto rispetto alle dimensioni della città.

Il momento è propizio

È quindi una grande occasione per Milano, per la sua nuova immagine e per la sua qualità urbanistica e architettonica. Per Franco Guidi, invitato in qualità di AD della società di progettazione Lombardini22, le opportunità non mancano.

Milano si è già guadagnata un ruolo guida grazie al Salone del Mobile, si è rafforzata con l’EXPO arrivata in un momento importante dell’evoluzione urbanistica della città ponendola sotto i riflettori del mondo, si è regalata un nuovo skyline, nuovi spazi di aggregazione, nuove aree pedonali, nuovi percorsi: nei luoghi storici consolidati, negli spazi emergenti come la Fondazione Prada e nelle “ricuciture” urbane con funzioni di altissimo profilo culturale, come la Fondazione Feltrinelli. E ancora ce ne regalerà nei prossimi mesi a Citylife e in Cordusio.

Il rapido sviluppo urbanistico degli ultimi tempi ha avuto il merito della continuità nella diversità. Ma è ora necessario che Milano si pensi seriamente, cioè operativamente, oltre i propri confini – un tema di lunga data che risale agli anni ’60 e ancora disatteso – per superare la dicotomia centro/periferia e pensare a un grande territorio, servito, valorizzato nei suoi punti di forza e completamente connesso: che oggi sta prendendo forma più concreta partendo dalle estensioni in corso verso Rho e Sesto San Giovanni.

Milano sta vivendo, dopo anni di calo, un incremento della popolazione: soprattutto grazie ai giovani, che deve continuare ad attrarre competenti e che possano trovare nella città lo spazio più fertile per crescere professionalmente e umanamente.

Milano ha una posizione di primo piano nella cultura, una delle industrie di servizio in cui eccelle con un’offerta da grande città metropolitana, che va oltre le sue dimensioni fisiche (non essendo una città grande): è forte nell'editoria, nella lirica e nel teatro, sta crescendo nella televisione, nella musica e nel cinema, per non parlare del fumetto, un’arte per la quale Milano ospita anche una scuola.

Milano e la Lombardia sono centri di eccellenza nel campo della salute. Bisogna continuare a investire e il progetto Human Technopole è già un’opportunità, ma si potrebbe anche far ripartire un’industria del farmaco e della cura che qui aveva dei primati (Farmitalia, Carlo Erba, l’Istituto Sieroterapico Milanese che occupava 600 persone nell’area che oggi ospita NABA e DOMUS ACADEMY), e che ha tuttora con Bracco, Dompé e il mondo del Professor Garattini. Per questo portare a Milano l’EMA, l’Agenzia del Farmaco, è una priorità di tutti.

Milano e la mobilità: il modo in cui sta cambiando è già un elemento abbastanza straordinario, con un menù di proposte “intelligenti” gestite tramite app che stanno rendendo quasi obsoleto utilizzare l’auto personale. Con questo spirito bisogna continuare a lavorare, integrando i diversi sistemi a scala regionale, e così migliorando anche la qualità dell’aria (e della vita), che è uno degli elementi che rendono Milano meno attraente di altre città.

L’Università: abbiamo letto dei miglioramenti del Politecnico di Milano nel ranking internazionale, e dovremmo gioirne ancora di più se pensiamo alle risorse limitate con cui le nostre Università guadagnano posizioni facendo miracoli di efficienza (in una classifica “value for money” supererebbero Harvard secondo un “esercizio pedagogico” del 2015). Come aiutarle a migliorare ancora? Lavorando almeno sugli elementi di contorno, le residenze universitarie o la disponibilità di connessioni più efficaci.

Milano è una città accogliente, e può essere all’avanguardia nei processi di inserimento delle fasce più deboli, uscendo da logiche di assistenza o delega alle mille cooperative e facendo leva sulle sue risorse materiali e organizzative: terzo settore, educazione, disponibilità di luoghi come le caserme in gran parte sottoutilizzate e da valorizzare.

Milano può diventare un’eccellenza anche nel settore dell’Aging Population: investire in Senior Living, RA e RSA ma ancora più riposizionare la città a misura di anziano e attirare investimenti e persone, non in contrasto con la capacità di attirare giovani ma per creare una versione contemporanea dei modi di vita tipicamente italiani (nella famiglia allargata sono sempre convissute generazioni diverse con reciproci compiti educativi e di cura). Nuove comunità potranno essere immaginate.

Milano è la città ideale per ospitare Headquarters europei o sud europei di grandi aziende, perché ha risorse umane di qualità e grande voglia di lavorare. Già attira il meglio dei giovani italiani, deve allargare l’orizzonte all’Europa e oltre, creando opportunità di lavoro di qualità, poco sostituibile e ben remunerato.

E poi Milano può essere all’avanguardia nelle Smart City, nel Big Data che già passa attraverso l’hub di via Caldera, nella sperimentazione tecnologica (istituendo un parco guida senza conducente, per esempio), nei processi di raccolta dei rifiuti e di riuso… Insomma, Milano deve adottare una strategia tipicamente milanese: rimboccarsi le maniche, studiare cosa fare, trovare le risorse, in collaborazione fra pubblico e privato, e gli architetti farsi compositori di istanze in un sistema aperto che accolga e metta in luce i modelli virtuosi. E un modello c’è già: quello del Salone e del Fuori Salone, che va studiato e applicato ad altri settori, anche all’urbanistica.

Il tempo e le regole, i contenuti e i contenitori

Se quello sopra delineato è il quadro, la direzione che Milano sta esprimendo, il dibattito ha fatto emergere le criticità che ne possono ostacolare (e hanno ostacolato) il cammino, accomunando orientamenti anche diversi: i tempi (lunghi) e le regole (rigide) incompatibili con i grandi cambiamenti.

Sugli scali ferroviari, la più grande opportunità della Milano futura, interviene Andrea Boschetti (Metrogramma): “Ci sono tavoli di discussione da oltre 7 anni e nel frattempo l’obiettivo non è cambiato. Ma intervalli così ampi tra visione e realtà impongono un cambiamento di governance. Non possiamo, per paura di farci sfuggire le cose di mano, applicare una struttura di regole rigide perché ciò esclude qualsiasi partecipazione” (e chi parteciperebbe sapendo di non poter influire?). “La variabile tempo è essenziale”, conferma Pierfrancesco Maran (Assessore a Urbanistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano), “troppo spesso sugli scali sento dire ‘fate troppo in fretta, fermatevi, dobbiamo riflettere’. Ma sono appunto 7 anni che stiamo riflettendo… Poi incontro Tognoli che mi dice: ma quali 7 anni, è da quando ero sindaco io…!”. Per Carlo Masseroli, sull’esperienza del lungo iter del progetto di Sesto San Giovanni (che investe il 12% della superficie comunale), è necessaria una nuova gerarchia: “prima il contenuto (cioè le funzioni, ma non in forma astratta) e poi il contenitore, prima l’interesse generale (pubblico) e poi il particolare (privato), lasciando la massima flessibilità fino a che tutte le componenti siano definite e, solo allora, irrigidire il sistema (altrimenti i contenuti cambiano in corso d’opera e modificano i contenitori, cioè l’interesse generale, imponendo continue varianti). A tale gerarchia Franco Guidi ribatte con un dubbio: “Credo che il processo debba essere frattale, senz’altro con una regia pubblica, ma non penso che si possa mettere prima il generale e poi il particolare, dev’esserci piuttosto una circolarità”. Mentre per Leopoldo Freyrie (Freyrie Flores Architettura) la città è in definitiva sempre pubblica: il tema allora è in quali condizioni gli imprenditori privati possono fare comunque l’interesse generale.

Il tempo è anche l’argomento affrontato da Isabella Inti (Temporiuso, Politecnico di Milano), ma nel senso degli usi temporanei da testare con risorse minime su aree più deboli rispetto ai casi di successo citati, aree “dimenticate” in cui far emergere vocazioni non visibili, riattivare microeconomie locali, aprire a nuovi immaginari. Mentre un’esplicita richiesta di contenuti viene da Francesca Cognetti (Politecnico di Milano): poiché se i grandi progetti esprimono un’idea dell’abitare, dobbiamo anche chiederci quale idea trasmettono sul versante abitativo, soprattutto in affitto. Che tipo di abitazioni offrono in una situazione in cui la casa di proprietà non è più un fattore di stabilità, in una città in crescita che dal 1991 al 2011 è passata da oltre il 40% di case in affitto al 29% (mentre Londra è al 63% e Berlino al 75%)?

Sui contenuti si soffermano Marco Giachetti (Fondazione IRCCS Cà Granda) e Cesare Ferrero (So.Ge.Mi. Spa), da posizioni se vogliamo più semplici per l’articolazione decisionale degli interventi: il primo illustrando il programma di riqualificazione delle proprietà della Fondazione, il più grande proprietario terriero di Milano (85 milioni di mq), con un progetto orientato al social housing nelle proprietà urbane e alla valorizzazione paesaggistica e ambientale legata al sistema forestale e agroalimentare in quelle rurali; il secondo parlando del Mercato Ortofrutticolo di Milano, per anni in bilico tra mantenimento nel luogo attuale o dislocazione fuori città (un’oscillazione che ha portato a 8 piani industriali in 16 anni senza implementarne uno) e approdato infine alla riqualificazione del “contenitore” dov’è tuttora, ma senza “ambizioni architettoniche” (il basso valore medio della merce scambiata non permetterebbe margini di manovra oltre la funzionalità e la pragmatica). Tuttavia Balducci fa notare che “si può essere pragmatici anche con la buona architettura!”.

Insomma, il dibattito è stato ricco e articolato! Ma un terreno comune è emerso.

Common Ground

Le regole e gli strumenti sono vecchi, hanno difficoltà ad affrontare il cambio radicale di paradigma cui siamo sottoposti, fanno spesso riferimento a un mondo che non esiste più, con regolamenti d’igiene dai contenuti ancora ottocenteschi.

È necessaria un’evoluzione dell’amministrazione e molta più flessibilità di piano: anche perché alcune riqualificazioni avvenute non sono mai passate dalla pianificazione, la Fondazione Prada, per esempio, non era prevista da nessuno.

È certamente necessaria una regia a guida pubblica: ma poi dovremmo lasciar fare, non solo ai grandi investitori privati, ma anche a più piccole iniziative da sviluppare su lotti minori, da più piccoli imprenditori fino a gruppi di privati e anche famiglie. Un processo di natura frattale dove il pubblico, con l’aiuto dei privati, definisce le regole di sviluppo e crea le infrastrutture, ma lascia libertà a iniziative multidimensionali.

I tempi sono necessariamente lunghi, e bisogna avere pazienza: le città hanno bisogno di tempo per svilupparsi in modo organico, per capire come sfruttare al meglio le opportunità senza legarsi a regole e progetti che oggi sembrano perfetti ma che forse non saranno in grado di reggere l’impatto dei cambiamenti.

È una sfida che può risolvere la comunità intera, di cui gli architetti sono solo una parte, con uno spirito collettivo che richiede una grande attenzione a un principio generale: la città funziona se non si lascia indietro nessuno. Secondo l’urbanista Bernardo Secchi, sono tre i grandi temi delle città di domani: mobilità, sostenibilità, segregazione spaziale e sociale.

E infine, Milano ha di fronte un lavoro in cui può permettersi di fare diverse scommesse: se ne perde qualcuna, nulla di grave, rimarrà la città che è ormai tornata a confrontarsi con il meglio d’Europa. Quindi ci vuole coraggio, immaginazione, sacrifici e visione al futuro: siamo pronti?

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July 18, 2017
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Milano è oggi in una condizione speciale per determinare strategicamente il proprio futuro. Ma quale futuro vogliamo?
Milano è oggi in una condizione speciale per determinare strategicamente il proprio futuro. Ma quale futuro vogliamo?

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Le grandi trasformazioni urbane sono dinamiche cruciali e organiche, da leggere in stretta correlazione con il territorio, le persone e i tempi di sedimentazione, e soprattutto prevedendo ampia flessibilità per cambiamenti inaspettati.

Possiamo infatti fidarci ancora delle previsioni? È evidente che non è più il momento di avere troppe aspettative. È certo apprezzabile la lungimiranza della città di Londra quando nel 2014 pubblicava il “London Infrastructure Plan 2050”, ma con ironia si può commentare: "Sicuramente non avevano previsto la BREXIT".

Tuttavia le città che si vogliono previdenti immaginano, e devono continuare a farlo nonostante tutto, il proprio futuro a lungo termine: nel 2009 Sarkozy chiamava 10 architetti a pensare la Grand Paris del 2030, nello stesso anno Algeri lanciava il Plan Stratégique de Développement d'Alger 2010-2029. Quale che sia il destino effettivo delle nostre città, dobbiamo sempre sforzarci di prefigurarlo per creare le condizioni affinché si avveri il futuro più desiderato.

Milano è oggi in una condizione speciale per determinare strategicamente il proprio futuro. Ma quale futuro vogliamo?

Durante la tavola rotonda "Grandi trasformazioni urbane", tenuta venerdì 16 giugno nel Salone d'Onore della Triennale di Milano, si è parlato di una città che è stata in grado di superare la crisi e che può avere la capacità di trascinare il Paese fuori dalle difficoltà.

Il dibattito, moderato da Alessandro Balducci del Politecnico di Milano, ha visto la partecipazione delle figure più direttamente impegnate nella costruzione della nuova Milano: e il risultato è un affresco noto ma nell’insieme sorprendente di una città che, attraversando un momento di cambiamenti straordinari, si può giocare davvero il proprio futuro.

Dalle grandi operazioni in fase di completamento di Porta Nuova e CityLife, illustrate rispettivamente da Cristiano Rossetto (Fund Manager Coima Sgr) e Armando Borghi (AD CityLife), agli importanti interventi da avviare nel prossimo futuro, come la riqualificazione delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni (della quale ha parlato Carlo Masseroli, Direttore generale Milanosesto) e del recupero degli scali ferroviari (di cui Carlo De Vito, AD FS Sistemi Urbani, ha descritto e difeso la procedura oggi al centro di un’accesa polemica), fino ai casi più specifici rappresentati da Cesare Ferrero (Presidente So.ge.mi. Spa) e Marco Giachetti (Presidente Fondazione IRCCS Cà Granda), è emerso un quadro complessivo davvero impressionante per la quantità delle superfici messe in gioco, soprattutto rispetto alle dimensioni della città.

Il momento è propizio

È quindi una grande occasione per Milano, per la sua nuova immagine e per la sua qualità urbanistica e architettonica. Per Franco Guidi, invitato in qualità di AD della società di progettazione Lombardini22, le opportunità non mancano.

Milano si è già guadagnata un ruolo guida grazie al Salone del Mobile, si è rafforzata con l’EXPO arrivata in un momento importante dell’evoluzione urbanistica della città ponendola sotto i riflettori del mondo, si è regalata un nuovo skyline, nuovi spazi di aggregazione, nuove aree pedonali, nuovi percorsi: nei luoghi storici consolidati, negli spazi emergenti come la Fondazione Prada e nelle “ricuciture” urbane con funzioni di altissimo profilo culturale, come la Fondazione Feltrinelli. E ancora ce ne regalerà nei prossimi mesi a Citylife e in Cordusio.

Il rapido sviluppo urbanistico degli ultimi tempi ha avuto il merito della continuità nella diversità. Ma è ora necessario che Milano si pensi seriamente, cioè operativamente, oltre i propri confini – un tema di lunga data che risale agli anni ’60 e ancora disatteso – per superare la dicotomia centro/periferia e pensare a un grande territorio, servito, valorizzato nei suoi punti di forza e completamente connesso: che oggi sta prendendo forma più concreta partendo dalle estensioni in corso verso Rho e Sesto San Giovanni.

Milano sta vivendo, dopo anni di calo, un incremento della popolazione: soprattutto grazie ai giovani, che deve continuare ad attrarre competenti e che possano trovare nella città lo spazio più fertile per crescere professionalmente e umanamente.

Milano ha una posizione di primo piano nella cultura, una delle industrie di servizio in cui eccelle con un’offerta da grande città metropolitana, che va oltre le sue dimensioni fisiche (non essendo una città grande): è forte nell'editoria, nella lirica e nel teatro, sta crescendo nella televisione, nella musica e nel cinema, per non parlare del fumetto, un’arte per la quale Milano ospita anche una scuola.

Milano e la Lombardia sono centri di eccellenza nel campo della salute. Bisogna continuare a investire e il progetto Human Technopole è già un’opportunità, ma si potrebbe anche far ripartire un’industria del farmaco e della cura che qui aveva dei primati (Farmitalia, Carlo Erba, l’Istituto Sieroterapico Milanese che occupava 600 persone nell’area che oggi ospita NABA e DOMUS ACADEMY), e che ha tuttora con Bracco, Dompé e il mondo del Professor Garattini. Per questo portare a Milano l’EMA, l’Agenzia del Farmaco, è una priorità di tutti.

Milano e la mobilità: il modo in cui sta cambiando è già un elemento abbastanza straordinario, con un menù di proposte “intelligenti” gestite tramite app che stanno rendendo quasi obsoleto utilizzare l’auto personale. Con questo spirito bisogna continuare a lavorare, integrando i diversi sistemi a scala regionale, e così migliorando anche la qualità dell’aria (e della vita), che è uno degli elementi che rendono Milano meno attraente di altre città.

L’Università: abbiamo letto dei miglioramenti del Politecnico di Milano nel ranking internazionale, e dovremmo gioirne ancora di più se pensiamo alle risorse limitate con cui le nostre Università guadagnano posizioni facendo miracoli di efficienza (in una classifica “value for money” supererebbero Harvard secondo un “esercizio pedagogico” del 2015). Come aiutarle a migliorare ancora? Lavorando almeno sugli elementi di contorno, le residenze universitarie o la disponibilità di connessioni più efficaci.

Milano è una città accogliente, e può essere all’avanguardia nei processi di inserimento delle fasce più deboli, uscendo da logiche di assistenza o delega alle mille cooperative e facendo leva sulle sue risorse materiali e organizzative: terzo settore, educazione, disponibilità di luoghi come le caserme in gran parte sottoutilizzate e da valorizzare.

Milano può diventare un’eccellenza anche nel settore dell’Aging Population: investire in Senior Living, RA e RSA ma ancora più riposizionare la città a misura di anziano e attirare investimenti e persone, non in contrasto con la capacità di attirare giovani ma per creare una versione contemporanea dei modi di vita tipicamente italiani (nella famiglia allargata sono sempre convissute generazioni diverse con reciproci compiti educativi e di cura). Nuove comunità potranno essere immaginate.

Milano è la città ideale per ospitare Headquarters europei o sud europei di grandi aziende, perché ha risorse umane di qualità e grande voglia di lavorare. Già attira il meglio dei giovani italiani, deve allargare l’orizzonte all’Europa e oltre, creando opportunità di lavoro di qualità, poco sostituibile e ben remunerato.

E poi Milano può essere all’avanguardia nelle Smart City, nel Big Data che già passa attraverso l’hub di via Caldera, nella sperimentazione tecnologica (istituendo un parco guida senza conducente, per esempio), nei processi di raccolta dei rifiuti e di riuso… Insomma, Milano deve adottare una strategia tipicamente milanese: rimboccarsi le maniche, studiare cosa fare, trovare le risorse, in collaborazione fra pubblico e privato, e gli architetti farsi compositori di istanze in un sistema aperto che accolga e metta in luce i modelli virtuosi. E un modello c’è già: quello del Salone e del Fuori Salone, che va studiato e applicato ad altri settori, anche all’urbanistica.

Il tempo e le regole, i contenuti e i contenitori

Se quello sopra delineato è il quadro, la direzione che Milano sta esprimendo, il dibattito ha fatto emergere le criticità che ne possono ostacolare (e hanno ostacolato) il cammino, accomunando orientamenti anche diversi: i tempi (lunghi) e le regole (rigide) incompatibili con i grandi cambiamenti.

Sugli scali ferroviari, la più grande opportunità della Milano futura, interviene Andrea Boschetti (Metrogramma): “Ci sono tavoli di discussione da oltre 7 anni e nel frattempo l’obiettivo non è cambiato. Ma intervalli così ampi tra visione e realtà impongono un cambiamento di governance. Non possiamo, per paura di farci sfuggire le cose di mano, applicare una struttura di regole rigide perché ciò esclude qualsiasi partecipazione” (e chi parteciperebbe sapendo di non poter influire?). “La variabile tempo è essenziale”, conferma Pierfrancesco Maran (Assessore a Urbanistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano), “troppo spesso sugli scali sento dire ‘fate troppo in fretta, fermatevi, dobbiamo riflettere’. Ma sono appunto 7 anni che stiamo riflettendo… Poi incontro Tognoli che mi dice: ma quali 7 anni, è da quando ero sindaco io…!”. Per Carlo Masseroli, sull’esperienza del lungo iter del progetto di Sesto San Giovanni (che investe il 12% della superficie comunale), è necessaria una nuova gerarchia: “prima il contenuto (cioè le funzioni, ma non in forma astratta) e poi il contenitore, prima l’interesse generale (pubblico) e poi il particolare (privato), lasciando la massima flessibilità fino a che tutte le componenti siano definite e, solo allora, irrigidire il sistema (altrimenti i contenuti cambiano in corso d’opera e modificano i contenitori, cioè l’interesse generale, imponendo continue varianti). A tale gerarchia Franco Guidi ribatte con un dubbio: “Credo che il processo debba essere frattale, senz’altro con una regia pubblica, ma non penso che si possa mettere prima il generale e poi il particolare, dev’esserci piuttosto una circolarità”. Mentre per Leopoldo Freyrie (Freyrie Flores Architettura) la città è in definitiva sempre pubblica: il tema allora è in quali condizioni gli imprenditori privati possono fare comunque l’interesse generale.

Il tempo è anche l’argomento affrontato da Isabella Inti (Temporiuso, Politecnico di Milano), ma nel senso degli usi temporanei da testare con risorse minime su aree più deboli rispetto ai casi di successo citati, aree “dimenticate” in cui far emergere vocazioni non visibili, riattivare microeconomie locali, aprire a nuovi immaginari. Mentre un’esplicita richiesta di contenuti viene da Francesca Cognetti (Politecnico di Milano): poiché se i grandi progetti esprimono un’idea dell’abitare, dobbiamo anche chiederci quale idea trasmettono sul versante abitativo, soprattutto in affitto. Che tipo di abitazioni offrono in una situazione in cui la casa di proprietà non è più un fattore di stabilità, in una città in crescita che dal 1991 al 2011 è passata da oltre il 40% di case in affitto al 29% (mentre Londra è al 63% e Berlino al 75%)?

Sui contenuti si soffermano Marco Giachetti (Fondazione IRCCS Cà Granda) e Cesare Ferrero (So.Ge.Mi. Spa), da posizioni se vogliamo più semplici per l’articolazione decisionale degli interventi: il primo illustrando il programma di riqualificazione delle proprietà della Fondazione, il più grande proprietario terriero di Milano (85 milioni di mq), con un progetto orientato al social housing nelle proprietà urbane e alla valorizzazione paesaggistica e ambientale legata al sistema forestale e agroalimentare in quelle rurali; il secondo parlando del Mercato Ortofrutticolo di Milano, per anni in bilico tra mantenimento nel luogo attuale o dislocazione fuori città (un’oscillazione che ha portato a 8 piani industriali in 16 anni senza implementarne uno) e approdato infine alla riqualificazione del “contenitore” dov’è tuttora, ma senza “ambizioni architettoniche” (il basso valore medio della merce scambiata non permetterebbe margini di manovra oltre la funzionalità e la pragmatica). Tuttavia Balducci fa notare che “si può essere pragmatici anche con la buona architettura!”.

Insomma, il dibattito è stato ricco e articolato! Ma un terreno comune è emerso.

Common Ground

Le regole e gli strumenti sono vecchi, hanno difficoltà ad affrontare il cambio radicale di paradigma cui siamo sottoposti, fanno spesso riferimento a un mondo che non esiste più, con regolamenti d’igiene dai contenuti ancora ottocenteschi.

È necessaria un’evoluzione dell’amministrazione e molta più flessibilità di piano: anche perché alcune riqualificazioni avvenute non sono mai passate dalla pianificazione, la Fondazione Prada, per esempio, non era prevista da nessuno.

È certamente necessaria una regia a guida pubblica: ma poi dovremmo lasciar fare, non solo ai grandi investitori privati, ma anche a più piccole iniziative da sviluppare su lotti minori, da più piccoli imprenditori fino a gruppi di privati e anche famiglie. Un processo di natura frattale dove il pubblico, con l’aiuto dei privati, definisce le regole di sviluppo e crea le infrastrutture, ma lascia libertà a iniziative multidimensionali.

I tempi sono necessariamente lunghi, e bisogna avere pazienza: le città hanno bisogno di tempo per svilupparsi in modo organico, per capire come sfruttare al meglio le opportunità senza legarsi a regole e progetti che oggi sembrano perfetti ma che forse non saranno in grado di reggere l’impatto dei cambiamenti.

È una sfida che può risolvere la comunità intera, di cui gli architetti sono solo una parte, con uno spirito collettivo che richiede una grande attenzione a un principio generale: la città funziona se non si lascia indietro nessuno. Secondo l’urbanista Bernardo Secchi, sono tre i grandi temi delle città di domani: mobilità, sostenibilità, segregazione spaziale e sociale.

E infine, Milano ha di fronte un lavoro in cui può permettersi di fare diverse scommesse: se ne perde qualcuna, nulla di grave, rimarrà la città che è ormai tornata a confrontarsi con il meglio d’Europa. Quindi ci vuole coraggio, immaginazione, sacrifici e visione al futuro: siamo pronti?

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